Rizzuto non doveva morire è il primo commento che abbiamo raccolto all’annuncio della morte per coronavirus del direttore del parco archeologico aretuseo, già soprintendente ai beni culturali della provincia di Ragusa.

Stimato funzionario pubblico, Calogero Rizzuto, che nel corso della sua carriera per la tutela a promozione del territorio ha messo a segno qualificati obiettivi, ci ha lasciati a 65 anni dopo un aver attraversato il pietoso e solitario calvario che in tanti, troppi, stanno attraversando a causa di quest’ultima pandemia.

Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo non si stupisce della solidarietà ricevuta dai suoi familiari e tanto meno della pari indignazione per i risvolti giudiziari che sembra assumere la delicata questione circa il giallo dei ritardi nelle cure e, soprattutto, nei tamponi: sia nel farli che nel comunicare i relativi risultati. Una vicenda, quest’ultima, come altre che abbiamo riscontrato ma che non sono emerse in modo così eclatante forse perché riguardavano “semplici” cittadini.

Ma a noi compete il risvolto sociale che quest’ultima tragedia rappresenta. Sopratutto per non doverne raccontare altre.

Infatti, se è vero come è vero che dietro i numeri giornalieri delle migliaia di morti per o con coronavirus ci sono persone, tutte con una propria storia ed individualità, le recenti dichiarazioni di un deputato regionale, il ragusano Nello Dipasquale, dimostrano che nemmeno il codiv-19 è riuscito a smentire “la livella” messa in versi da Totò.

L’esposto dell’Onorevole in questione, inviato al prefetto di Siracusa  spiega con un diario giornaliero di telefonate, WhatsApp e raccomandazioni come egli non sia riuscito ad assicurare un tempestivo adeguato ricovero a Rizzuto: nonostante abbia smosso super dirigenti medici, colleghi d’aula e financo l’assessore regionale alla sanità siciliana.

Pur comprendendo lo stato emergenziale del momento, che da noi ancora non si è manifestato come nelle regioni del nord Italia, la malasanità lamentata da Dipasquale pare la stessa di cui si parlava nei bar dello sport e che vivono tutti i giorni i pazienti siciliani: capace di mettere in ombra le pur lodevoli professionalità che vi si spendono con risultati eccellenti.

La percezione – ci dice un amico del compianto Rizzuto – è che alle soglie del terzo millennio si è assuefatti da un corrotto rapporto fra politica e sanità che inevitabilmente si riversa sulle scelte delle persone e sui fondi da impegnare per la macchina organizzativa della sanità siciliana, così come in altri settori strategici del sistema-Sicilia. Una assuefazione – conclude che a tanti dirigenti ha fatto perdere di vista il ruolo, la vocazione del proprio impegno e la percezione delle finalità dei fondi pubblici attinti dalle tasse dei cittadini”.

Questo andazzo ha portato conseguentemente a far sedere persone sbagliate nel posto sbagliato, che tuttavia con la mera gestione del potere riuscivano a mascherare i propri limiti; adesso però che le stesse si trovano ad esercitare la funzione assunta nel momento sbagliato, ed è richiesto loro la capacità di dispensare servizi essenziali, veri … dimostrano la propria incompetenza mettendo in crisi un sistema già di suo scricchiolante. Per gestire l’emergenza occorre lucidità, serenità ma tutto questo serve a niente se non si mantiene alta l’attenzione verso il contesto in cui e per cui si opera.

Se si vede che non ci si arriva, si chieda aiuto a manager di provata capacità, come peraltro già fatto nelle regioni del nord Italia. Si può mettere in conto l’esplodere di una pandemia, ma non certo l’arroganza di gente sbagliata, nel posto sbagliato … nel momento sbagliato.

Nessuno deve morire per questo.

 

 

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