I più anziani sanno sulla loro pelle che chi non ha la forza di regolare i conti con la propria memoria è destinato riviverla.
Si perde il conto degli esempi in cui la storia ci sorprende e ci sorpassa.
Così è per la Siracusa del 2020, come dimostrano le recenti polemiche sulla tela del Caravaggio conosciuta come “Il seppellimento di santa Lucia”, opera preziosa per l’arte mondiale quanto simbolica per la città della martire della Luce.
Una vicenda antica: il quadro fu commissionato nel 1608 a Michelangelo Merisi da Caravaggio dal Senato della città; con le leggi Rattazzi del 1866 e 1867 che espropriano i beni ecclesiastici per finanziare il novello Stato nazionale, passarono nella disponibilità del Ministero dell’Interno anche la Basilica, il convento, gli arredi di “Santa Lucia al Sepolcro” e quindi dello stesso dipinto; adesso, nonostante i successivi accordi “pacificatori” Stato-Chiesa del 1929 e 1985, si ritorna a discutere sul riconoscimento della proprietà ecclesiastica del Caravaggio nonostante le numerose sentenze della magistratura italiana sull’argomento.
A dare la misura delle punte di tensione che nel passato ha generato la frattura Stato-Chiesa, basti ricordare che l’arcivescovo Guarino (poi diventato cardinale), fu malamente sfrattato dalla sede Vescovile di piazza Duomo per dare seguito alle sopra richiamate leggi eversive dell’asse ecclesiastico.
Fatto sta che ancora oggi, anche se con toni, rilevanza ed argomentazioni diverse, la ferita pare riaprirsi dopo la richiesta di prestito della tela per un’importante esposizione temporanea presso il Mart di Rovereto.
Infatti nonostante le opposizioni motivate e documentate di numerosi comitati cittadini capitanati dallo storico dell’arte siracusano Paolo Giansiracusa, la tela dalle dimensioni 408×300 cm, è già in viaggio per la città di Paolo Orsi, dopo una sosta “tecnica” a Roma.
Di tutto questo negli ultimi mesi si è già tanto dibattuto sui giornali ed i social non sono stati da meno, approfondendo le varie tesi circa le fragilità del dipinto, dell’opportunità promozionale dell’evento, dei fondi necessari per un eventuale restauro, della futura sede per la ricollocazione del “Seppellimento di santa Lucia”; ma su tutto hanno prevalso le pressanti azioni dello Sgarbi nazionale che del Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto è il presidente.
Adesso proviamo ad affrontare un aspetto che è parso volutamente disatteso dalle autorità che a vario titolo hanno espresso parere sull’intricata vicenda: chi è il legittimo proprietario dell’evocativa opera dedicata al nume tutelare della città, Lucia, e quindi il primo titolato ad esprimersi su ogni proposta di “prestito”?
Lo abbiamo chiesto a padre Sebastiano Amenta, vicario arcivescovile che ha seguito la delicata questione per conto della Curia.
“Il dibattito che si è acceso in merito al prestito del quadro – parte pacato il Monsignore – ha visto l’intervento di persone che liberamente hanno espresso il loro parere, ma senza averne cognizione di causa. La tela del Caravaggio non è un’opera d’arte come le altre esposte nei musei perché ha uno statuto giuridico diverso. Inoltre, anche se requisita con le leggi eversive, è una pala d’altare e per questo è vincolata dalla legge alla cosiddetta deputatio ad cultum, è cioè destinata al culto e non può essere utilizzata per altro. In questa vicenda si è scientemente ignorato questo principio giuridico sancito dal Concordato tra Stato e Chiesa”.
Ma così dicendo afferma che sarebbe stato perpetrato l’ennesimo esproprio ai danni dei beni ecclesiastici?
La questione della proprietà è molto complessa e non si può spiegare in poche battute. Si può dire che, alla luce della legislazione derivata dal Concordato, la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro e le sue opere d’arte appartengono oggi alla Parrocchia S. Lucia al Sepolcro. Questo principio, prima pacificamente ammesso dal Fondo Edifici di Culto, è stato poi negato con una diversa interpretazione della legge. Oggi siamo in attesa che la questione, già chiarita dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato, venga definitivamente risolta dagli organismi previsti dal Concordato stesso. Per questa ragione e per il vincolo del culto il F.E.C. non può “fare del quadro ciò che vuole”, come è stato erroneamente detto. Meno che mai altri soggetti.
Mi sento di ringraziare gli aderenti al Patto civico per il rispetto e lo stile con il quale si sono rivolti alla Curia anche contestando, legittimamente, la linea che abbiamo scelto di seguire nei riguardi di quanto stava avvenendo. Allo stesso tempo devo riconoscere loro di essere stati gli unici a tentare di comprendere le ragioni vere della posizione della Diocesi. Chi desidera conoscere in modo appropriato queste ragioni, fondate esclusivamente sulla legge e sui sentimenti dei devoti di S. Lucia, può leggere l’ottimo saggio scritto in merito dall’avv. Salvo Salerno e pubblicato sul Portale giuridico nazionale Filodiritto.
Eppure in un primo momento si è pensato che la Curia siracusana fosse d’accordo al trasferimento del quadro.
Non c’è alcuna contraddizione nella posizione della Diocesi, solo la disponibilità a ragionare senza contrapposizioni sull’argomento. Tuttavia la nostra disponibilità è stata strattonata in modo strumentale. Ci è stato comunicato che si rendeva necessario un restauro non rinviabile e abbiamo risposto favorevolmente ponendo precise condizioni che non sono state prese in considerazione. È stato poi detto che non necessitava alcun restauro e abbiamo quindi chiesto di non spostare il quadro da Siracusa per le ragioni che ho spiegato prima e che da circa un decennio ribadiamo in tutte le sedi senza riceverne riscontro. La Chiesa di S. Lucia alla Badia (in piazza Duomo, sulla destra della Cattedrale, ndr) in questi mesi è stata usata senza tener conto delle condizioni che avevamo posto. Alla fine non abbiamo potuto che prendere atto di quanto è stato comunque deciso di fare, quasi manu militari, tra contraddittorie assunzioni di impegni, insulti e fantasiose minacce di richieste di risarcimento danni.
Non crede che questa storia, così come ce la prospetta, è simile a tante altre vicende del momento in cui con le parole si giustifica tutto ed il contrario di tutto, dove le regole del gioco sono piegate ed alterate per soddisfare i desiderata del governante di turno?
Questa vicenda ha evidenziato tutta la debolezza di cui soffre oggi la politica. C’è stata un’azione politica arrogante che ha deciso ogni cosa prima ancora che si iniziasse l’iter procedurale per ottenere il prestito per poi procedere “asfaltando” tutto e tutti, anche attribuendosi competenze di altri. A quest’azione ha corrisposto il silenzio/assenso interrotto solo da reazioni postume. Veda, io penso che c’è stato un tempo in cui la politica, con tutti i suoi limiti, almeno tentava di ispirarsi ad alcuni ideali come – ad esempio – la legalità e la costruzione del bene comune con la tutela dell’interesse generale del territorio che si era chiamati a rappresentare. Così come si guardava ad alcune grandi personalità cui ispirarsi come Alcide De Gasperi, Giorgio La Pira o i Padri costituenti. Oggi pare che l’unico modello di riferimento rimasto sia il Marchese Onofrio del Grillo…
Quindi …?
“E’ chiaro che occorre ritrovare la via del dialogo, del confronto serrato ma sereno e costruttivo; è affrontando i problemi che si possono risolvere definitivamente, partendo dall’ascolto delle ragioni dell’altro. Le recenti questioni sul prestito o meno del Caravaggio sono solo un aspetto marginale ma simbolico della deriva valoriale che stiamo vivendo”.