La “crisi della democrazia” è un tema che negli ultimi tempi è sempre più frequente nelle discussioni sullo stato del mondo e dei suoi paesi, ma anche sempre più banalizzato: una specie di modo di dire che spiega ogni cosa senza spiegare niente. E dobbiamo riconoscerlo: a volte abusiamo del termine “democratico”, riferendolo ai processi e ai tratti più vari delle nostre società, dimenticando che una democrazia è tecnicamente – e quindi più semplicemente – un sistema di governo in cui a tutti i cittadini è concesso di votare per determinare le decisioni della comunità. Poiché questo da solo non garantisce un sistema efficace e corretto di funzionamento delle democrazie, associamo loro come imprescindibili anche una serie di garanzie (come: controlli e limiti sui poteri di chi governa, libertà di parola e associazione, tutela delle minoranze e delle loro scelte, etc).

La seconda metà del secolo scorso ha celebrato una impressionante serie di successi da parte della democrazia: ha sconfitto i peggiori regimi dittatoriali in Italia, Germania, Spagna, Grecia e in diversi paesi sudamericani; ha creato in Europa occidentale una pace stabile e duratura come non si era mai vista; con la caduta dell’Unione Sovietica, ha sostituito i regimi comunisti in quasi tutta l’Europa dell’Est.

Tuttavia, non stupisce più di tanto che oggi, agli occhi dei cittadini, le democrazie occidentali si siano rivelate fragili di fronte alla globalizzazione che ha reso più deboli e meno indipendenti le politiche nazionali, consegnando molto potere ai mercati e alle istituzioni sopranazionali. Con il risultato che, al crescere dei problemi, aumentano il cinismo e il distacco verso la politica, e i cittadini esigano dai loro governi sempre di più, sottraendo loro fiducia e legittimità.

Come se non bastasse, è poi è apparso sulla scena mondiale il coronavirus, con le conseguenti restrizioni alle libertà individuali e collettive che la sua gestione da parte di tutti i governi nazionali ha determinato (dal lockdown, alla sospensione di innumerevoli attività economiche, al blocco delle attività educative). Ma la pandemia può davvero essere posta sul banco degli imputati come corresponsabile della crisi del sistema democratico?

Siamo di fronte a un tornante epocale, uno di quei momenti nei quali il tessuto della storia si lacera, e che, quando arrivano, è sempre molto difficile governarli. Inoltre, allorché è arrivato il virus, il nostro sistema democratico era già in seria difficoltà, e nel ragionare dell’impatto della pandemia dobbiamo tener conto di queste fragilità pregresse.

Tre almeno, per semplificare. In primo luogo, le nostre democrazie, sono popolate da cittadini iper-individualistici, che danno molta più importanza ai diritti che ai doveri e tendono a fare ai sistemi politici e sociali richieste molto pressanti e non sempre rispettose dei vincoli che la realtà pone alla condizione umana. In secondo luogo, conviviamo, ormai da decenni, con una fase di crisi dello stato-nazione nel mondo globale. In terzo luogo, la rappresentanza politica attraversa un processo di costruzione di organismi collettivi, che è duro comporre in una comunità politica ragionevolmente solida, solidale e stabile.

Ciò posto, il coronavirus aggraverà gli aspetti già critici delle nostre democrazie, o ci aiuterà piuttosto ad affrontare questi problemi e magari a risolverli?

Oggi siamo ancora nel pieno della fase emergenziale (con l’apparire delle “varianti”, e pare che nel Bresciano sia iniziata la terza ondata), ma è fondamentale che la discussione sul nostro sistema rappresentativo e su quel che ne sarà domani non si interrompa nemmeno in questo momento. Dobbiamo riportare, prima possibile, quest’emergenza all’interno delle istituzioni democratiche, perché prima e meglio impostiamo il ragionamento su come esse possano essere riportate sotto controllo, prima e meglio sapremo uscire dalla crisi.

Il virus ci mostra con grande chiarezza la nostra enorme fragilità individuale, e quanto sia importante che la collettività alla quale apparteniamo ci difenda e che l’autorità pubblica abbia forza sufficiente per rispondere alle sfide.

Un approccio antiretorico non può che partire dall’assunto, attribuito ad Hobbes (ma probabilmente assai più antico) che primum vivere, deinde philosophari. Fuor di metafora: prima di dissertare se la gestione della pandemia restringa i diritti democratici dei cittadini, è necessario “essere in vita”, ovvero non essere finiti in una camera mortuaria a causa del Covid-19! E di questa sopravvivenza essere grati, in prima istanza, alla volontà del Padreterno, e in secondo luogo a coloro ai quali, “democraticamente”, abbiamo affidato le sorti del nostro Paese e, in particolare, anche la tutela della nostra salute, in accordo alle norme costituzionali.

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