La Pacè è l’unica soluzione: l’invasione russa non avrà certamente vincitori
Così, siamo al primo anno di guerra in Ucraina. Un anno che sembra un’eternità!
Che dolore assistere ancora inermi allo scempio di vite umane, di figli (ucraini e russi) allevati con tanto amore e sacrifici per poi vederli maturati per quella terribile operazione in cui vengono chiamati ad uccidere gente a loro estranea, sconosciuta, e, a loro volta, farsi uccidere da gente alla quale non hanno fatto alcun male. Basterebbe questo pensiero per rendersi conto della stupidità, dell’assurdità, e soprattutto del peccato della guerra: peccato reso più acuto dai pretesti con cui la guerra si cerca e dalla ottusità con cui si decide.
«Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare». Così leggiamo in un piccolo libro del 1953, dal titolo “L’inutilità della guerra”, di Igino Giordani, uomo politico, sturziano della prima ora, costituente e deputato, giornalista e scrittore, dichiarato Servo di Dio e per il quale è in corso il processo di canonizzazione.
Alla luce di quel volumetto, la “celebrazione” del primo anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina ha un sapore ancora più amaro, perché appare evidente che quest’ultima guerra, come tutte le guerre, porterà con sé solo sconfitti. Nessuno potrà dirsi vincitore.
Perché le conquiste territoriali saranno non immediatamente riconoscibili dalla comunità internazionale; per il grande numero di vittime da entrambe le parti; per le distruzioni materiali di abitazioni, strutture ed infrastrutture: scene di orrori e di fame, deportazioni e bombardamenti, case distrutte, figli e fratelli uccisi, amici scomparsi, con il pensiero avvilito, l’arte impazzita, la cultura fatta ancella di una politica irrazionale. E ancora: per gli effetti collaterali sul versante dell’economia (risorse energetiche ed alimentari) anche nei paesi estranei al conflitto, con un impoverimento indotto di troppa gente, da entrambi i lati della frontiera. Ed anche per la crescita in modo esponenziale dell’odio tra i popoli, ed il carico di paure e traumi di ogni genere provocato dalla guerra.
Le ragioni della pace spingono a cercare spiragli nella via della diplomazia, anche se appare molto difficile da perseguire. Tornano ad essere di drammatica attualità le parole dell’accorato appello di papa Pio XII ai capi di stato alla vigilia del secondo conflitto mondiale[1]: «Nulla è perduto con la pace; tutto può esserlo con la guerra. È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo».
Papa Francesco continua a pregare e far pregare per la pace. L’accoglienza dei profughi ucraini è un fiore all’occhiello dell’Unione europea e in particolare del nostro Paese, ma è pure importante far crescere, ove possibile, l’influenza sull’opinione pubblica della Russia e dell’Ucraina in favore della cessazione delle ostilità.
La guerra rappresenta la sciagura più grande: offende Dio e offende l’uomo, i due oggetti dell’amore. Uniamo questa nostra invocazione a quella di papa Francesco – che il 25 marzo 2022 ha consacrato al Cuore immacolato di Maria entrambi i popoli della Russia e dell’Ucraina – affinché di fronte all’ancor più evidente necessità di pace e unità tra i popoli, più forte diventi e si levi al Cielo la nostra voce.
C’è un fiume, il Dnipro, che nasce in Russia, attraversa diversi Stati aderenti all’Euroregione (Bielorussia, Ucraina, …) e sfocia nel Mar Nero. Può diventare il simbolo della pace e dell’unità. Il fluire delle sue acque: l’ambiente del dialogo nella libertà; la sua foce: l’incarnazione dell’inizio di un cammino e del raggiungimento degli obiettivi finali per una Europa che va dall’Atlantico agli Urali.
[1] Radiomessaggio del 24 agosto 1939