Convegno ANFFAS nazionale, quale l’attualità e le prospettive?
Ogni famiglia che si prende cura di una persona con disabilità, soprattutto se si tratta di un figlio, spesse volte ha un pensiero ricorrente e cioè: “Cosa sarà di mio figlio quando io non sarò più accanto a lui”?
Si parla sempre più spesso del “dopo di noi”, anche se oggi si inizia a pensare al “durante noi”.
A tale proposito, si è svolto a Roma lo scorso 10 febbraio presso la sede di ANFFAS-associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettive e/o relazionali-, nazionale in Via Latina n.20, un convegno sulla Legge 112/2016 dal titolo: “Durante e dopo di noi”.
In Italia esiste appunto la Legge n. 112/2016, che, come recita l’art. 2 stabilisce “le misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori”. Allo stato dell’arte, ci informa il presidente di ANFFAS nazionale Roberto Speziale, “è necessario preparare il percorso di vita con, come protagonista, la persona con disabilità, potenziandone le autonomie con prospettive di esperienze di gruppo”.
Oggi la declinazione è “non al posto mio, ma con me” cioè le persone con disabilità, non vogliono essere sostituite da nessuno, ma collaborate per fare “insieme” tutto quanto attiene alla propria realizzazione.
L’avvocato Corinne Ceraolo Spurio, del Centro studi giuridici e sociali di ANFFAS nazionale, ha messo in evidenza come “con la ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, Legge n. 18/09, lo Stato italiano si è impegnato a riconoscere alle persone con disabilità il pieno godimento di tutti i diritti e delle libertà fondamentali, compreso il diritto di ciascuna persona alla «vita autonoma ed inclusione nella comunità”.
Tra le finalità della Legge n. 112/2016, c’è l’accompagnamento per l’uscita dal nucleo familiare di origine (primo passo verso l’autonomia, ndr), e “i programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile e, in tale contesto, tirocini finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone e alla riabilitazione”.
In merito alle soluzioni alloggiative, la legge prevede che queste strutture “devono presentare caratteristiche di abitazione, inclusa l’abitazione di origine, o gruppi appartamento o soluzioni di co-housing che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare”. Ciò vuol dire avere spazi domestici che devono essere vissuti come la propria casa, con la possibilità di utilizzare le moderne tecnologie per la connessione con le varie comunità e, inoltre, la loro ubicazione deve essere in zone residenziali, “ovvero anche rurali all’interno di progetti di agricoltura sociale e comunque in un contesto territoriale non isolato e siano aperte alla comunità di riferimento permettendo la continuità affettiva e relazionale degli ospiti”.
Abbiamo detto che parte tutto dal progetto individuale. Ma cosa è realmente questo progetto individuale?
L’avvocato Alessia Maria Gatto del Centro studi giuridici e sociali di ANFFAS nazionale, ci spiega cosa è e la sua importanza: “Il comma 1 dell’art. 14 della Legge n. 328/00 –ci dice- prevede che per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale”. Il comma 2 dell’art. 14 della Legge n. 328/00 prevede che “Il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale o al profilo di funzionamento, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del servizio sanitario nazionale, il piano educativo individualizzato a cura delle istituzioni scolastiche, i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare”. È la stessa Convenzione ONU che riconosce la disabilità come interazione tra menomazione fisica, mentale, intellettiva o sensoriale, con le barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la piena partecipazione alla società allo stesso modo degli altri.
L’avvocato Gatto fa il punto poi sul progetto di vita: “Il progetto di vita si avvia con la valutazione multidimensionale e si concretizza nella costruzione di interventi, coordinati tra loro, che valorizzano e sostengono il percorso unitario di vita di ciascuna persona con disabilità, rispondendo ai suoi reali e personali bisogni, desideri e aspettative e garantendo piena ed effettiva inclusione nei diversi contesti di vita. I singoli piani di sostegno sono, invece, una congerie di interventi pensati per il supporto a vivere un dato contesto (per esempio il Piano Educativo Individualizzato per la scuola). Una persona con disabilità può anche richiedere singoli piani di sostegno senza voler attivare un vero e più ampio progetto individuale di vita, ma qualora lo volesse attivare per le finalità di cui sopra, comunque il progetto di vita non sarebbe solo la mera sommatoria dei vari piani di sostegno già attivati o da attivare in suo favore”.
Partire dunque da un progetto di assistenza individuale, cioè da una serie di azioni volte tanto alla persona con disabilità quanto alla famiglia, passando per la scuola attraverso i PEI –piani educativi individualizzati-, non trascurando la presa in carico presso i servizi sanitari territoriali, per arrivare a costruire un durante noi ma soprattutto un dopo di noi, perché le persone con disabilità possano vivere in maniera autonoma la loro vita.
L’incontro è stato presenziato anche dal vicepresidente di AIPD –associazione italiana persone Down- sezione di Roma Giancarlo Giambarresi, con cui ANFFAS nazionale collabora attivamente da anni, a testimonianza che i diritti delle persone con disabilità sono uguali per tutti e non hanno colori o fazioni di alcun tipo.