Le frontiere per la Pace, quale profezia per l’Europa
Le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo sono alle porte. Tutti attendiamo – quali che siano le personali simpatie ed appartenenze – che dalle urne emerga una “nuova” Europa. Ma quali sono le reali attese di “novità”?
«La persona prudente sa custodire la memoria del passato, non perché ha paura del futuro, ma perché sa che la tradizione è un patrimonio di saggezza. La vita è fatta di un continuo sovrapporsi di cose antiche e cose nuove, e non fa bene pensare sempre che il mondo cominci da noi, che i problemi dobbiamo affrontarli partendo da zero»: così papa Francesco all’Udienza generale di mercoledì 20 marzo scorso.
Per questa ragione abbiamo scelto di proporre ai lettori alcuni spunti di riflessione sull’Europa, che rimettano sul moggio una “novità antica”, attraverso la visione di alcuni fra i nostri testimoni e profeti della prima ora: Luigi Sturzo, Giorgio La Pira e Igino Giordani, politici cattolici italiani, contemporanei del secolo scorso ed europeisti convinti. La Chiesa italiana li considera proprio patrimonio indiscutibile, avendone riconosciuto le virtù eroiche e avendone, per questo, avviato da decenni le cause di canonizzazione.
è la testimonianza che ci si possa fare santi non già “nonostante la politica” ma piuttosto proprio “attraverso la politica”.
Si cita spesso la frase: “La politica è la forma più alta di carità“… ma sovente si sbaglia l’autore. A pronunciarla per primo non è stato Paolo VI. Anche Giovanni Paolo II e Benedetto VI l’hanno ripetuta, Francesco poi la ribadisce spesso… ma chi l’ha pronunciata per primo è stato Pio XI. La frase letterale di Papa Achille Ratti (1857-1939) è dell’Udienza del Santo Padre ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica (18 dicembre 1927). Pio XI affermò in quell’occasione: «E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore». E aggiunse: «Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio».
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Luigi Sturzo (Caltagirone, 1871–Roma, 1959), presbitero e politico, noto per il suo “appello ai liberi e forti”, fu fondatore del Partito Popolare Italiano (PPI) ), che rappresentò per i cattolici italiani il ritorno organizzato alla vita politica dopo la fine del non expedit.
Per la sua netta opposizione al regime fascista, nel 1924 – su sollecitazione della Curia Romana –, dovette abbandonare l’Italia e rifugiarsi all’estero. Rientrato in Italia, fu poi nominato da Luigi Einaudi senatore a vita e mantenne l’incarico fino alla morte.
Già riconosciuto Servo di Dio, nel 2017 si è chiusa a Roma la fase diocesana della sua causa di beatificazione.
Il grande interesse di Luigi Sturzo per l’Europa nacque nel 1924, allorché costretto ad abbandonare l’Italia e rifugiarsi all’estero, ebbe modo, a contatto con altri esuli, di confrontare le sue idee e di estendere le sue analisi agli Stati europei e al Continente nel suo insieme.
Già nel 1929 parlava di «un concreto e alto ideale, quello degli Stati Uniti di Europa». Egli si diceva convinto che, «nel quadro di una larga federazione» avrebbero potuto «esistere ed avere vitalità propria non solo i grandi stati unitari come la Francia e l’Italia, le piccole unità statali come il Belgio e la Svizzera, ma anche le minoranze autonome, sia pur unite ai rispettivi stati come l’Alsazia, il Sud-Tirolo e la Croazia».
E aggiungeva: «Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molte difficoltà».
Con il secondo conflitto mondiale la sua idea d’Europa era ben definita. «L’Europa – egli dichiarava nel 1944 – deve andare verso l’unificazione di tutti gli Stati», dall’Atlantico agli Urali e dal Mediterraneo al Baltico.
Secondo Sturzo l’unione europea avrebbe dovuto allargarsi a tutti quei Paesi – latini, anglosassoni e orientali – che, facendo geograficamente parte del Vecchio Continente, erano stati influenzati dalla civiltà romana prima e poi da quella cristiana; perché, se questi paesi avessero cercato le proprie radici storiche, avrebbero scoperto un comune substrato di civiltà, sul quale avrebbero potuto stipulare un patto federativo.
Unico suo cruccio era che il «totalitarismo della Russia» e degli altri Paesi non democratici avrebbero, certamente, ritardato il necessario processo di unificazione.
Sturzo nel 1950 aderisce al Movimento Federalista Europeo ed esprime chiaramente la propria visione: «Federazione europea significa soluzione in comune dei problemi che interessano tutti i Paesi associati e rispetto della tradizione e delle autonomie degli stati membri per quel che riguarda i loro particolari interessi».
Oggi siamo ancora molto lontani dal progetto sturziano di Europa, apparendo l’attuale Unione Europea come qualcosa di ibrido tra la federazione e la confederazione, con le inevitabili disfunzioni dell’una e dell’altra.
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Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904–Firenze, 1977), giurista e politico, eletto nel 1946 all’Assemblea costituente e poi più volte deputato, per tre volte sindaco di Firenze (1951-1957, 1961-1965) – soprannominato il «sindaco santo» durante il suo mandato da primo cittadino – è stato rappresentante di spicco del cristianesimo sociale, promuovendo il dialogo politico, la pace tra i popoli e il rispetto della dignità umana.
Già Servo di Dio, nel 1986 venne avviata la sua causa di beatificazione sotto papa Giovanni Paolo II, nel 2005 si è chiusa la fase diocesana e il 5 luglio 2018 è stato dichiarato venerabile da papa Francesco, che ha rivelato lo stesso giorno che La Pira sarà beato, essendo stato riconosciuto un miracolo attribuito alla sua intercessione.
Di fronte ai presagi funerei che imperversano sull’Europa, Dio solo sa quanto ci sarebbe bisogno, ai nostri giorni, di politici europei anche solo minimamente capaci di imitare lo spirito europeista di La Pira, quello della speranza contro ogni speranza, che vede con chiarezza l’abisso del fallimento ad un passo, e tuttavia sa alzare la testa, rimboccarsi le maniche, rilanciare il cuore verso una meta in apparenza irraggiungibile.
Nel 1942 La Pira pubblicò un articolo sul periodico fiorentino, “Vita cristiana”. Al culmine della tragedia bellica che era in atto, in piena apoteosi dei totalitarismi, La Pira intravvedeva nell’ora più buia dell’umanità i segni di una storia resa “sacra” dall’opera della Redenzione, scorgeva gli indizi di una «gigantesca crescita di bene nonostante le ciclopiche opposizioni del male». Di lì a poco avrebbe avuto inizio la grande costruzione unitaria, ad opera di altri visionari come lui – da De Gasperi ad Adenauer, da Schuman a Spaak, da Bech a Mansholt, da Monnet a Spinelli, persino a Churchill –, più numerosi di quanto comunemente si pensi e neanche tutti credenti, anche se la maggior parte lo era con convinzione.
Oggi la lezione lapiriana più importante per l’Europa, viste le sue condizioni e le sfide che la attendono, sarebbe un’altra. Solo per fare un esempio, di fronte al problema dei migranti, da lui verrebbe l’esortazione, pena la decadenza vera e irrimediabile, ad andare oltre se stessa, come del resto era nell’ispirazione più genuina e originaria dei suoi “padri” fondatori. Essi pensavano a un sodalizio di nazioni libere, capaci di proporsi come modello ad altri popoli in cerca di pace e di sviluppo, disposte a proiettarsi all’esterno, praticando il dialogo ed escludendo chiusure o arroccamenti. La prova di questa convinzione, ai suoi occhi l’unica realistica, Giorgio La Pira la percepì e la evidenziò con lucidità dopo la conclusione della Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la cooperazione in Europa. Si era ancora in piena “guerra fredda”, quando il 1° agosto 1975 venne firmato lo storico “Atto finale” nella capitale finlandese, dopo due anni di negoziati che coinvolsero tutti i Paesi europei (Urss compresa ed esclusa solo l’Albania), gli Stati Uniti, il Canada ed anche la Santa Sede. All’epoca l’allora Comunità Europea aveva solo nove membri, che aderirono tutti con convinzione all’intesa sia come singoli che in forma unitaria. A due mesi di distanza, da Varsavia, dove si trovava per una sessione di lavori dell’Unesco, La Pira scrisse un testo dal titolo: “L’età di Clausewitz è finita”, intendendo dire che nell’era nucleare la logica dei conflitti armati era (ed è ancora!) “scientificamente” improponibile. E ripercorrendo tutte le sue audaci iniziative internazionali a partire dal 1951, concludeva: «Guerra impossibile, pace inevitabile».
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Igino Giordani (Tivoli 1894–Rocca di Papa 1980), scrittore, giornalista e politico, cofondatore del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Nel 1920 conobbe Luigi Sturzo e aderì al Partito Popolare. Nel 1924 fu direttore del settimanale del PPI Il Popolo Nuovo. Dopo il giugno 1944, nella Roma liberata, diresse Il Quotidiano e nel 1946 succedette a Guido Gonella nella direzione de Il Popolo. Nello stesso anno venne eletto all’Assemblea costituente e poi fu deputato nella prima legislatura. Notevole da parlamentare il suo impegno per la Pace, fu il primo firmatario della legge sulla obiezione di coscienza.
Già riconosciuto Servo di Dio, è in corso la sua causa di beatificazione, che nel 2012 ha ricevuto dalla Congregazione delle Cause dei Santi il decreto per la validità giuridica degli atti dell’inchiesta diocesana. Il pensiero di Giordani nella prospettiva dell’Europa si snoda su alcune tappe fondamentali.
Nel 1924 Giordani, appena trentenne, pubblica il suo primo libro: La politica estera del Partito Popolare Italiano in cui auspica gli Stati Uniti d’Europa come una prima fase per giungere alla solidarietà internazionale di tutti i popoli e si delineano i punti di forza dell’europeismo di Giordani: superamento dei nazionalismi, e cammino verso l’unità sulla spinta delle necessità economiche e politiche, sostenuto dall’unica forza in grado di farlo, il cattolicesimo.
«Gli Stati Uniti d’Europa non saranno sino a quando l’Europa rimarrà solcata da nazionalismi. Stati uniti europei e nazionalismo sono due termini che si escludono reciprocamente. L’unità sarà effetto della ineluttabilità delle condizioni economiche per le quali nessun Paese più basta a sé stesso e la vita di ciascuno è intimamente legata a quella degli altri; sarà effetto del bisogno di pace universalmente sentito; si concreterà come una realizzazione del cristianesimo, i cui valori rifioriscono col manifestarsi della loro necessità. L’amore al proprio paese non implica l’odio a quello altrui».
Nel 1947, su Il Popolo Giordani appoggia la proposta di Churchill sul «grande disegno di una Europa unita» e ricorda che Victor Hugo già nel 1871 esortava a fare «gli Stati Uniti d’Europa, una federazione continentale».
Nel 1950 Giordani entra a far parte del Consiglio dei popoli d’Europa a Strasburgo. Su La Via, nell’articolo intitolato «O l’Europa s’unisce o l’Europa perisce», valorizza un Cartel chrétien redatto da cattolici, protestanti e ortodossi di vari partiti e teso a ricordare l’importanza dei valori cristiani nelle vicende storiche dell’Europa; è il cristianesimo che «dà alla costruzione europea un’anima, e un soffio spiritualista».
Vale ancora, indiscutibilmente, per la “nuova Europa” che tutti attendiamo. Anche dalle urne delle prossime elezioni.
- Nella immagine in evidenza Montecassino (Archivio fotografico Cammino) dove riposano le spoglie di san Benedetto da Norcia patrono d’Europa e triste luogo simbolo della seconda guerra mondiale.