Un tesoro nel cielo
Vendere tutto per acquistarlo
L’episodio del Vangelo di oggi è introdotto da un interrogativo posto da «un tale» (Marco 10,17): a ciascuno di noi, e a ogni nostro fratello di umanità, è consentito di potersi identificare con questo anonimo personaggio che si rivolge a Gesù, per porgli la domanda fondamentale sull’indirizzo più conveniente da dare alla propria esistenza.
«Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Marco 10,17): a partire da questa domanda che il “tale” pone a Gesù, il papa S. Giovanni Paolo II ha posto il fondamento di tutta la dottrina morale cristiana, nella sua enciclica Veritatis splendor, del 1993.
Dietro la domanda sulle regole da osservare, si nasconde tutta la sete di pienezza di senso per la propria vita, «l’aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l’intimo impulso che muove la libertà» (Giovanni Paolo II, Veritatis splendor 7). Ogni singola parola di questa domanda svolge un ruolo fondamentale.
«Buono»: il tale riconosce in Gesù un esempio concreto di bontà, non soltanto un eventuale conoscenza teorica di ciò che è buono, e Gesù riconduce immediatamente questo appellativo a un’esigenza di fede, cioè al riconoscimento della Bontà come una perfezione che è attributo proprio di Dio.
«Devo»: il tale suppone che quanto egli chieda a Gesù costituisca un suo “dovere”, dimostrando la propria sensibilità a un imperativo naturalmente derivato da quell’idea di bontà.
«Fare»: questo dovere avrà l’aspetto di un’azione morale, riguarderà l’ambito del comportamento, dell’agire nel mondo, non rimarrà sul piano di una speculazione intellettuale, non ne sarà sufficiente una conoscenza teorica.
«Eredità»: il tale sa che questo suo impegno morale non sarà però fine a se stesso, bensì potrà procurargli l’acquisto di un patrimonio, una ricompensa immensamente più grande della mera gratificazione intrinseca alla consapevolezza di aver agito bene. Ciò non esclude il valore del fare il bene perché è bene, né lo riduce a un calcolo opportunistico, ma include la prospettiva di una dimensione ulteriore dei frutti di quel bene compiuto.
«Vita»: ecco l’oggetto grandioso di questa eredità. Il tale desidera entrare nella vita vera, e sa che soltanto Gesù può fornirgli la vera risposta. Egli deve aver ben compreso ciò che, come riporta il quarto Vangelo, Gesù rivelerà di se stesso: «Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni 10,10); «Io sono la resurrezione e la vita» (Giovanni 11,25); «Io sono la via, la verità e la vita» (Giovanni 14,6). Chi, meglio di Gesù, potrebbe dirci dove trovare la vita?
«Eterna»: questa vita non è il vivere effimero terreno, ma possiede in sé un aspetto non tanto quantitativo quanto qualitativo, cioè l’eternità. E anch’essa, come la bontà, è una caratteristica propria di Dio, l’Eterno. La vita eterna è la vita dell’Eterno: la vita divina, alla quale Dio ci ha reso partecipi per amore.
Tale eredità non si compra con ricchezze materiali o con sforzi umani, anzi al contrario la si ipoteca donando ogni nostro bene a quanti nella loro povertà possano riceverne un vero bene, per poter avere il cuore libero di accogliere il dolce invito di Gesù: «Vieni! Seguimi!» (Marco 10,21)