Su cosa agire e quali i rimedi? La task force del prof Nitsch ancora una volta in prima fila per la ricerca sulla sD
Si è svolto a Napoli il 18 e 19 ottobre scorsi, l’VIII convegno scientifico nazionale dal titolo: “Sindrome di Down: dalla ricerca alla terapia”, fortemente voluto e organizzato dalla DS Task Force nazionale attraverso il suo coordinatore Lucio Nitsch, Professore Emerito dell’Università “Federico II” di Napoli.
La sindrome di Down è la più diffusa causa genetica di disabilità intellettiva e si sta cercando di studiarla a fondo, per capire dove e come agire per migliorare a medio-lungo termine la vita di relazione e la socializzazione di chi la vive in prima persona.
Due tavole rotonde, 22 interventi all’interno di interessantissime sessioni scientifiche, 70 ricercatori provenienti dai principali centri italiani specializzati nello studio della sindrome di Down, di seguito indicata con le lettere sD, oltre 300 iscritti non scienziati e decine di domande poste da familiari di ragazzi e ragazze con sD.
La principale novità di quest’anno è stata la partecipazione attiva delle persone con sD in tutte le fasi del convegno. Hanno collaborato all’accoglienza dei congressisti, fornito assistenza in aula e contribuito alla ristorazione durante le pause.
“Questo convegno –ci ha illustrato il prof Lucio Nitsch-, per la cui realizzazione è stato fondamentale il supporto dell’Università Federico II, si colloca tra le iniziative di valorizzazione della ricerca scientifica del nostro Ateneo, con l’obiettivo di creare un contesto che unisca scienza e società in un’esperienza condivisa e inclusiva. La prima tavola rotonda –ha continuato- è stata un momento vivace e di grande partecipazione: i ricercatori hanno risposto alle numerose domande dei familiari presenti, creando un dialogo aperto e costruttivo. Nella seconda, abbiamo discusso il modello FINGER, che propone uno stile di vita basato su cinque pilastri: alimentazione, attività fisica, attività mentale, socialità e prevenzione delle malattie cardiovascolari”. Ma oltre alla presenza di ricercatori di alto profilo, la singolarità di questa tavola rotonda è stata data dalla testimonianza diretta di molti ragazzi con sD, che hanno raccontato se stessi e le loro esperienze legate a ciascuno dei cinque pilastri.
Il modello FINGER study dunque è uno studio volto a valutare proprio quanto degli interventi multidominio potessero modificare la probabilità di pazienti a rischio di sviluppare deterioramento cognitivo. Oltre ad essere il primo trial randomizzato (studi sperimentali che permettono di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione) controllato sull’argomento è anche il primo ad essere numeroso (sono stati arruolati complessivamente 1200 pazienti), per la durata di 2 anni.
Ma cosa è venuto fuori da questo convegno? Una delle prime evidenze nelle persone con sD è l’invecchiamento precoce che può essere combattuto grazie alla polidatina, ovvero un polifenolo idrosolubile e altamente biodisponibile, molto resistente all’azione enzimatica. Da uno studio condotto dall’equipe della dottoressa Anna Vacca, dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica, biotecnologie molecolari di Bari (IBIOM-CNR), la polidatina, riattiva la produzione mitocondriale di Atp –adenosina trifosfato-, una molecola che produce energia nella cellula e riduce la over produzione di radicali liberi, le molecole responsabili dell’invecchiamento cellulare, e il danno al DNA indotto dallo stress ossidativo.
Ma non è finita qui. Uno studio della dottoressa Laura Angelozzi del dipartimento di Scienze per la qualità della vita UniBo, Rimini, ha sottolineato quanto la disabilità cognitiva nella sD sia dovuta alla riduzione della neurogenesi a partire dalle prime fasi dello sviluppo cerebrale. L’aumento dello stress ossidativo è uno dei fattori che contribuisce ai difetti del neurosviluppo nella sD. Non esistono attualmente terapie per la disabilità cognitiva della sD, ma tra i possibili rimedi si è parlato dell’Astaxantina, un carotenoide che stimola la neurogenesi e ha un potere antiossidante, proteggendo dallo stress ossidativo cerebrale.
E ancora: nelle persone con sD pare ci sia una alterazione nel ciclo omocisteina-metionina, due importanti amminoacidi (i mattoni che formano le proteine, ndr), il quale garantisce il corretto funzionamento degli enzimi chiave che controllano la crescita e il differenziamento cellulare, come è emerso dalla relazione della dottoressa Francesca Antonaros, del dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie –Dibinem-UniBo, Bologna.
L’alterazione dei livelli SAH –S-adenosil-omocisteina- e SAM –S-adenosin-metionia- nel sangue, pare possa determinare le caratteristiche del fenotipo (insieme dei caratteri morfologici che evidenziano all’esterno quanto scritto nei nostri geni, ndr) della sD, anche se non è noto in che modo tutto ciò ne influenzi la manifestazione clinica dello stesso fenotipo.
Ma la sD porta con se anche altre condizioni e/o malattie, le cosiddette comorbilità e tra queste, c’è la disfunzione tiroidea e l’apnea ostruttiva del sonno (OSA) dovuta ad anomalie delle vie aeree superiori, disturbi dentali orali e favorita dalla propensione all’obesità, dalla ipotonia e dalle infezioni respiratorie ricorrenti. Il monitoraggio delle vie aeree respiratorie superiori, un approccio multidisciplinare con la poligrafia notturna, aiuta a sviluppare protocolli diagnostici per bambini con sD. È stato questo il contenuto del lavoro presentato dalla dottoressa Melissa Borrelli del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali UniNA Federico II, Napoli.
Il dott. Emanuele Capra della Fondazione Human Technopole Milano, ha relazionato sul processo che porta alla formazione di nuovi neuroni (o neurognesi) a livello fetale, il quale è ridotto nelle persone con sD. Le regioni corticali sono di diverso tipo (sono correlate ad esempio all’olfatto, alla memoria, etc… ndr). La corteccia cerebrale fetale trisomica (dei feti con trisomia 21, ndr) a 13-14 settimane post concepimento, periodo di maggiore sviluppo della glia radiale esterna (le glia sono le cellule che sostengono e nutrono i neuroni, ndr), presenta uno sviluppo numerico di queste ultime, minore rispetto ai cervelli euploidi (cioè con cellule di 46 cromosomi e non 47 come nella sD, ndr). Il lavoro proposto è importante perché si studiano i processi cellulari che governano lo sviluppo cerebrale e potrebbero essere fondamentali per chiarire altre cause di deficit del neurosviluppo.
Dagli studi sugli interneuroni GABAergici, recettori che analizzano gli stimoli in ingresso e coordinano quelli in uscita, emerge che essi possono provocare una elaborazione difettosa delle informazioni nell’ippocampo -cioè quella preziosissima zona del cervello per la memoria e breve e lungo termine, orientamento e memoria spaziale- alle alterazioni nella metilazione, cioè l’introduzione di uno o più gruppi metilici CH3, de novo (una mutazione genetica che si manifesta in un individuo, ma non appartiene al corredo genetico dei suoi genitori, ndr) del DNA. “Tale processo –ha spiegato il dott. Fabio Coppedè, dell’Università di Pisa- blocca l’espressione del gene e di fatto lo inattiva, per esempio impedendo ad apposite proteine di trascrivere il DNA e può costituire un fattore di rischio materno per la trisomia 21 e contribuire alla disabilità intellettiva dei bambini con sD come pure ai difetti cardiaci congeniti presenti circa nel 50% dei casi”.
Sindrome di Down e Alzheimer è stato il tema trattato dalla dottoressa Cristina Benatti, Dipartimento di Scienze Biomediche Metaboliche e Neuroscienze UniModena e Reggio Emilia, Modena, insieme alle dottoresse e ai dottori Margherita Grasso, Marilena Ricupero, Serafino Buono, Concetta Barone, IRCCS –Associazione Oasi Maria SS di Troina (EN), Filippo Caraci, Dipartimento Scienza del Farmaco e della salute UniCt, Catania et Alii
L’interleuchina IL18, una piccola proteina è coinvolta nei processi immunitari infiammatori e può indurre interferon-gamma, una proteina che stimola il sistema immunitario a combattere contro le cellule tumorali. Gli individui con sD hanno un rischio genetico maggiore di sviluppare la malattia di Alzheimer a causa di una sovraesposizione della proteina precursore dell’amiloide (APP) localizzata sul cromosoma 21. Si stima che oltre il 70% degli adulti con sD di età superiore a 60 anni, soddisfi i criteri diagnostici per AD cioè la malattia di Alzheimer.
Una persona con sD può manifestare anche un tipo di epilessia, molte volte successiva ad Alzheimer, progressiva con esordio dopo i 40 anni. Il suo ritardo cognitivo può dipendere anche da quelli che sono definiti “disordini neurologici associati a disfunzioni delle vie endosomiali”. In altre parole, un mal funzionamento nel movimento delle vescicole all’interno del citoplasma cellulare, può essere una causa della neuropatogenesi -ovvero quella sommatoria del danno diretto virologico e della risposta innata e adattativa del sistema immunitario, che contribuiscono alla neuroinfimmazione, ndr- della sD.
Tra le patologie associate alla sD sono state messe in luce la steatosi epatica, la frammentazione del sonno -che peggiora la neurodegenerazione tipica dell’Alzheimer nelle persone con sD-, la marcata predisposizione alla osteoporosi (le persone con sD hanno una densità minerale ossea minore dei soggetti che non hanno la stessa sindrome), l’invecchiamento precoce a carico di vari organi e sistemi, dovuto ad alterazioni metaboliche (come ad esempio, le alterazioni nel metabolismo delle poliammine, molecole che stimolano la proliferazione cellulare, riducono le difese immunitarie e favoriscono la diffusione di metastasi e l’angiogenesi, ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni) dei marcatori di stress ossidativo e dei neurotrasmettitori, l’insulino resistenza e lo sviluppo di malattie come il diabete e l’obesità, insieme alla infiammazione della mucosa duodenale, anche senza atrofia dei villi, dunque un’atrofia non celiaca.
All’indomani dell’evento campano, arrivano due notizie molto importanti che il prof Nitsch insieme al prof. Caraci comunicano così: “Si svolgerà presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma –ci ha informato Nitsch– una nuova sperimentazione clinica che è finanziata dalla Fondazione Jerome Lejeune e coinvolgerà circa 36 ragazzi e giovani adulti con sD. Lo studio ha lo scopo di verificare l’efficacia della stimolazione transcranica a corrente diretta, tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva già ampiamente utilizzata in ambito clinico e nei disturbi del neurosviluppo, in combinazione con un trattamento logopedico mirato, per migliorare le abilità linguistiche dei giovani coinvolti”.
Icod, come si legge nella pagina facebook della Ds Task Force, è l’acronimo di Improving Cognition in Down Syndrome e il progetto europeo che prende il nome dell’acronimo appunto menzionato, risponde a questi bisogni clinici insoddisfatti, introducendo nell’uomo un nuovo farmaco di prima classe (AEF0217) diretto verso il recettore per i cannabinoidi (CB1), la cui iperattività è stata recentemente correlata ai deficit cognitivi nella sD. AEF0217 appartiene a una nuova classe farmacologica, i cosiddetti “inibitori specifici del signaling del recettore CB1 (CB1-SSi) che riduce il declino cognitivo nei modelli murini di sD. “Sono state rilevate grandi novità –ci ha illustrato Caraci, IRCCS Troina (EN) e Università di Catania- comunicate il 18 novembre scorso, sull’esito del primo studio sulle persone con sD in merito non solo al miglioramento cognitivo, ma anche alle capacità adattive e funzionali misurate con la Vineland. Lo studio è un trial clinico randomizzato in doppio cieco, condotto a Barcellona e Madrid (Spagna) e di cui a breve uscirà una nota approfondita”.
La scienza, in particolare questa che si occupa delle persone con sD, va sostenuta, incentivata e conosciuta ma, come è giusto che sia, vuole tempo e risorse.
Dall’altra parte, ringraziando sempre le persone che insieme alla loro professione ci mettono la loro passione e ci investono il loro preziosissimo tempo nello studio della sD come il prof Nitsch, il prof Caraci e le varie equipe di ricercatori coinvolti, ci permettiamo una riflessione costruttiva e cioè: la sD non esiste. Esistono le persone con la sD e queste persone vogliono una vita da vivere e dei sogni da realizzare. Molti lo hanno già fatto, altri sono in attesa ma moltissimi non potranno farlo, perché non tutti sono in grado di avere le risorse adeguate.
Iniziamo ad effettuare la presa in carico in toto delle persone con sD così che il sistema sanitario nazionale possa realmente e concretamente aiutare le famiglie e le persone con sD nel loro percorso di vita.
Di seguito, il link della mappatura nazionale dei centri che fanno assistenza clinica alle persone con sD, primo passo propedeutico alla creazione di un registro nazionale per la stessa sindrome sul sito dell’Iss –istituto superiore di sanità-. Ciò al fine di migliorare la qualità della vita delle persone con sD e dei loro familiari.
Che sia il primo di una serie di passi virtuosi…
https://www.iss.it/-/sindrome-di-down-al-via-la-mappatura-dei-centri-di-assistenza-clinica
Immagine in evidenza: il ministro e il prof. Caraci