Con quella odierna sono 59 le Giornate Mondiali delle Comunicazioni sociali, celebrate nel giorno della memoria liturgica di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. E, come da tradizione da parte di tutti i pontefici, anche papa Francesco non ha fatto mancare il proprio messaggio per questa ricorrenza. Significativa la coincidenza con il Giubileo del Mondo della Comunicazione, che per tre giorni, fino a domenica 26 gennaio,  vedrà la partecipazione in Roma – al Pellegrinaggio alla Porta Santa di San Pietro – anche da parte di una quindicina di giornalisti siracusani, fra cui alcuni rappresentanti del nostro periodico “Cammino”; evidenziamo inoltre la presenza dell’arcivescovo di Siracusa mons. Francesco Lomanto, delegato della Conferenza episcopale siciliana per le Comunicazioni sociali e la cultura che ha composto la preghiera del giornalista.

L’intero magistero di papa Francesco è una costante sollecitazione a cambiare il modo di comunicare, a diffondere parole di speranza, ad essere attenti a chi non ha voce, leggendo i problemi della gente con la prospettiva antropologica cristiana. E percorrendo le reti sociali come “pellegrini di speranza” secondo il mandato giubilare.

Solo così – afferma Bergoglio – si può spezzare il circolo vizioso dell’angoscia e arginare la spirale della paura, frutto dell’abitudine a fissare l’attenzione sulle “cattive notizie” (guerre, terrorismo, scandali e ogni tipo di fallimento nelle vicende umane).

In apertura, il Pontefice descrive il contesto attuale del nostro tempo come «segnato dalla disinformazione e dalla polarizzazione, dove pochi centri di potere controllano una massa di dati e di informazioni senza precedenti», rivolgendo un accorato appello ai giornalisti e ai comunicatori: «C’è bisogno del vostro impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo».

E pensando al Giubileo (che celebriamo quest’anno come un periodo di grazia in un tempo così travagliato), Francesco li invita ad essere comunicatori di speranza, rinnovando il loro lavoro e la loro missione secondo lo spirito del Vangelo.

Ribadisce poi la necessità di “disarmare la comunicazione”, di purificarla dall’aggressività, superando i rischi di far prevalere il paradigma della competizione, della contrapposizione, della volontà di dominio e di possesso, della manipolazione dell’opinione pubblica.

Sembra – afferma Bergoglio – che individuare un “nemico” contro cui scagliarsi verbalmente sia indispensabile per affermare sé stessi. E quando l’altro diventa “nemico”, quando si oscurano il suo volto e la sua dignità per schernirlo e deriderlo, viene meno anche la possibilità di generare speranza.

E cita prima don Tonino Bello: “«tutti i conflitti trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti», e subito dopo anche Georges Bernanos: «sperano soltanto coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne, nelle quali trovavano una sicurezza e che scambiavano falsamente per speranza. La speranza è un rischio che bisogna correre. È il rischio dei rischi».

Avvertendo che “per i cristiani sperare non è una scelta opzionale, ma una condizione imprescindibile”.

Il pontefice, fa poi riferimento alla prima Lettera di Pietro (3,15-16) in cui la speranza viene posta in connessione con la testimonianza e con la comunicazione cristiana: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto».

E da queste parole trae tre messaggi

Primo. La speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto. La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare anche contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto.

Secondo. Essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi.

Terzo. La risposta a questa domanda sia data «con dolcezza e rispetto». La comunicazione dei cristiani (ma, dice Bergoglio, anche la comunicazione in generale) dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture

E papa Francesco esprime quanto gli urge in cuore: «Sogno per questo una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato. Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri. Una comunicazione che ci aiuti a riconoscere la dignità di ogni essere umano e a prenderci cura insieme della nostra casa comune» (Lett. enc. Dilexit nos, 217).

E conclude con l’invito a riflettere sulla grandezza del messaggio di questo anno di grazia giubilare. «Siamo invitati tutti – davvero tutti! – a ricominciare, a permettere a Dio di risollevarci, a lasciare che ci abbracci e ci inondi di misericordia. Si intrecciano in tutto questo la dimensione personale e quella comunitaria. Ci si mette in viaggio insieme, si compie il pellegrinaggio con tanti fratelli e sorelle, si attraversa insieme la Porta Santa. Il Giubileo ha molte implicazioni sociali. Pensiamo ad esempio al messaggio di misericordia e speranza per chi vive nelle carceri, o all’appello alla vicinanza e alla tenerezza verso chi soffre ed è ai margini».

Papa Francesco lascia infine alcune tracce fondamentali per i giornalisti.

«Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro. Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto. Cercare di praticare una comunicazione che sappia risanare le ferite della nostra umanità. Essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro».

Ce n’è abbastanza anche per noi umili servitori della vigna del Signore che facciamo parte di questo periodico “Cammino”!

 

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