La notizia è una vera bomba: dopo 55 anni, a meno di due anni dalla morte del suo fondatore, il Ristorante Paul Bocuse a Collonges-au-Mont-d’Or, in Francia, perde una stella Michelin scendendo da tre a due. I dipendenti si dicono sconvolti, Elisabeth Boucher-Anselin, direttrice della comunicazione per le attività gastronomiche e turistiche della Michelin dichiara: “La qualità del locale rimane eccellente ma non più a livello di tre stelle”. Qualche testata ha addirittura definito la perdita della terza stella un oltraggio alla cucina francese. In effetti, se volessimo fare una metafora calcistica, sarebbe come se la Juventus fosse retrocessa in serie B. Per una stella cadente, però, altre stelle sono totalmente assenti. La ristorazione siracusana non ha mai vantato espresso una stella Michelin. Ci siamo interrogati sulle ragioni e per capire ci siamo confrontati con i colleghi della stampa enogastronomica, con cuochi, ristoratori, docenti ed esperti. Tutti concordano su un punto che, forse, è quello fondamentale; la voce unanime è che Siracusa manca di una radicata cultura gastronomica ed è priva, dunque, di quel terreno fertile che può dare vita alla ristorazione di altissimo livello. C’è anche un problema di natura imprenditoriale. Un’attività di ristorazione che punti alle stelle comporta investimenti copiosi di natura immobiliare, nelle attrezzature, e nel personale; per arrivare alla stella ci vuole una brigata numerosa e ben strutturata, lo staff deve includere un maitre che sappia dirigere il personale di sala che, a sua volta, dev’essere ben formato, uno o più sommelier che sappiano gestire la cantina con competenza e intelligenza. Insomma, per la stella, non basta un cuoco, seppur eccellente. Gli imprenditori che investono nella ristorazione non sono ristoratori “puri”, sono, per lo più, imprenditori di altri settori che considerano la ristorazione una seconda attività che crei immediata liquidità. E questo tipo di approccio è l’antitesi della visione a medio-lungo termine che è indispensabile per ottenere risultati così ambiti. Un altro elemento che gioca a sfavore è il fenomeno della veloce rotazione del personale; a Siracusa, il personale sia di sala che di cucina ruota velocemente da un locale all’altro e il risultato è che non c’è il tempo di costruire una squadra affiatata capace di agire come un unico corpo. Perché brigata di cucina e staff di sala devono essere come un’orchestra: tanti strumenti, un unico suono. La crescita turistica degli ultimi anni, inoltre, ha paradossalmente giocato contro la crescita della qualità nella ristorazione; nella nostra provincia, tra il 2011 e il 2019 gli operatori sono aumentati del 72% (dati Unioncamere-Infocamere). Una crescita eccessiva rispetto al bacino cui si rivolge e, di fatto, la concorrenza gioca spesso sul prezzo al ribasso. Di conseguenza, chi vuole proporre una ristorazione di qualità deve, comunque, mantenere l’offerta entro determinati limiti altrimenti rischia di non avere abbastanza clientela da reggere economicamente. Se Siracusa vuole ambire, come pure meriterebbe per le sue attrattive archeologiche, artistiche, architettoniche e paesaggistiche, all’eccellenza c’è bisogno di un cambiamento culturale, di uno sguardo nuovo che si fondi sul principio che, anche nel mondo food&wine, spesso “less is more”. Anche sul fronte avventori è necessario un cambiamento di prospettiva: spesso, troppo spesso, l’avventore preferisce la quantità alla qualità; la tendenza diffusa è quella di prediligere una modalità di ristorazione che offra tante portate a un prezzo accessibile. Ma l’avventore si domanda cosa c’è dietro e dentro un menù di 6/8 antipasti, due primi, uno o due secondi con contorno e dessert proposto a 25/30 euro a persona? Se si usa materia prima fresca e di qualità certificata, se si assume il personale di sala e cucina con tutte le garanzie contrattuali e le tutele di legge, se si pagano tutte le tasse, con questi prezzi, non ci si esce… Allora, se auspichiamo una crescita della ristorazione siracusana che, nel tempo, possa portare riconoscimenti al territorio, anche i clienti devono modificare il loro approccio e comprendere che, anche lato cliente, “less is more”. E forse così si aprirà la via per la stella!
(*) Nella foto un piatto dello chef Claudio Ruta