NONOSTANTE TUTTO, PRIMI SEGNALI DI SPERANZA ALL’UMBERTO I.
Ci sono ruoli sociali che ordinariamente non hanno luci proiettate addosso, né telecamere al seguito, né tantomeno profili mediatici in grado di totalizzare like. Tuttavia questi “invisibili” emergono ed esprimono la loro potenza ed utilità quando altri esseri “invisibili” tentano l’attacco alla specie umana, trovandosi all’improvviso catapultati nelle trincee degli ospedali in compagnia di altri indispensabili operatori sanitari: gli Infettivologi.
A rappresentare la categoria, nella nostra Siracusa troviamo la dottoressa Antonella Franco, direttore facente funzione del reparto di malattie infettive all’Umberto I di Siracusa.
La stessa, come un fulmine che squarcia le tenebre, è stata recentemente “nominata” da tanti media per i primi timidi ma significativi successi del suo reparto nel combattere le infezioni da Covid-19: già 6 i pazienti guariti grazie anche all’uso sperimentale di un farmaco nato per curare l’artrite reumatoide: il Tocilizumab.
Citata, ma non vista: è difficile infatti rintracciarla stante i turni di lavoro che deve sostenere, come i tanti che in queste giornate di coronavirus vivono nella trincea delle corsie ospedaliere di tutto il mondo.
Tuttavia, a tarda sera, quasi notte, siamo riusciti a conversare con lei.
Dottoressa, ci scusi l’ora…
Non fa niente, ciascuno deve fare la propria parte come può … è un momento difficile, con i suoi pro e contro.
Ci parli dei “pro”.
In tanti stanno riscoprendo le proprie case, le loro famiglie, gli affetti veri, la solidarietà … e si ritrova se stessi. A me purtroppo non è possibile, quantomeno non vivo tutto ciò nelle forme canoniche, lo sperimento in modo diverso, perché al momento mi è successo il contrario, vivere l’inferno…
Ci descriva questo “inferno”.
Che dire, quando “da fuori” arrivano questi pazienti con “fame d’aria” non sai come iniziare… Ormai non serve più la radiografia, occorre la tac, e quando si riscontra questa polmonite interstiziale tipica dei virus è una lotta contro il tempo… un iter doloroso… c’è chi può essere ricoverato e trovare un posto dignitoso, altri invece vengono dimessi e lasciati a casa perché non ci sono posti, ancora altri invece arrivano troppo tardi, quando ormai il virus ha distrutto tutto il polmone. Molto dipende anche dal sistema anticorpale dell’individuo, dalla capacità che ha il loro corpo nel reagire alla malattia, infatti proprio per questo gli anziani sono fra i più esposti.
Eppure alcuni suoi pazienti sono “guariti” con l’uso di un farmaco nato per curare altre cose. Ci spieghi?
In parole povere questo farmaco – che purtroppo ancora non è la soluzione definitiva alla malattia – ha un anticorpo monoclonale che sopprime una particolare infiammazione dei bronchi, impedendo la proliferazione del virus…
Ma come siete arrivati all’uso di questa terapia?
Non è che ci sono arrivata io, per primi sono stati i cinesi. In Italia, poi, i medici napoletani – quando si dice il sud – hanno ripreso questo indirizzo con successo, testando e scoprendo l’eccezionalità di questa cura, pratica che avevano purtroppo tralasciato i medici del nord, nonostante la mole di casi avuti e le competenze dimostrate.
Grazie ad Aifa (Agenzia italiana del farmaco, preposta al controllo dei medicinali prima di essere utilizzati per le cure), quindi, anche al sud siamo riusciti a farne richiesta e ad entrare nella sperimentazione: in Sicilia noi assieme a Palermo e Catania. Ovviamente al momento solo per uso compassionevole (È previsto il ricorso al cosiddetto “uso compassionevole” (D.M. 7 settembre 2017) per un medicinale sottoposto a sperimentazione clinica, al di fuori della sperimentazione stessa, in pazienti affetti da malattie gravi o rare o che si trovino in pericolo di vita, quando, a giudizio del medico, non vi siano ulteriori valide alternative terapeutiche…, Disposizioni Aifa. Ndr).
È stata una sua scelta tentare questa cura anche in questa provincia?
Certo, noi abbiamo cercato di entrare in Aifa per prendere questo farmaco, visti i risultati positivi dei colleghi di Napoli.
Ma lei si sente con i suoi colleghi impegnati in questa guerra in ogni parte d’Italia?
Si, abbiamo una chat con tutti i colleghi nazionali, primari e professori universitari con cui ci scambiamo le varie esperienze.
Cosa vi dite, qualche esperienza particolare?
Al nord, poverini, sono oberati molto più di noi, da Bergamo a Bologna non riescono nemmeno a tornare a casa. Però questa chat è importante perché attraverso questa si stanno elaborando le linee guida nazionali. Le esperienze descritte dai professori del nord sono ottime. Noi abbiamo curato sia avvalendoci di queste linee guide che con il farmaco sperimentato a Napoli; grazie a quest’ultimo abbiamo visto come le persone miglioravano nettamente e velocemente, nell’arco di un giorno, con due sole somministrazione a distanza di 12 ore. Farmaco che la casa farmaceutica ci ha messo a disposizione gratuitamente ma che sappiamo costare 2900,00 euro a dose. Un grande successo, nemmeno i pazienti ci credevano: “Come, sono entrato che ero morto ed adesso sono già in piedi e mi sento bene”. Ovviamente c’è da dire che questa cura non sta funzionando per tutti, io l’ho fatto ad una persona che poi è morta lo stesso. Purtroppo non è per tutti, ma per circa l’ottanta per cento dei pazienti; il rimanente 20 per cento non lo sente.
L’esperienza comunque è veramente interessante. Ed ogni volta che c’è un paziente grave richiediamo in prenotazione il farmaco all’Aifa che ce lo manda.
Che turni fate a Siracusa?
Io personalmente parto la mattina e torno la sera tardi: dalle visite al raccordo con il territorio. Ovviamente c’è un lavoro di squadra, anche con lo staff della dottoressa Contrino, per arrivare a svolgere tutto ciò.
Cosa prova nel sentire le notizie dei suoi colleghi, ed in particolare quelli di Siracusa, risultati positivi ai tamponi?
Certo non è una cosa bella, potrei essere anche io vittima di questo virus che non si vede. Ma che dobbiamo fare… Tutti possiamo essere vittima del virus. Ci affidiamo nelle mani del Signore e che ce la mandi buona.
Se pensiamo a quanta gente è morta per questo virus e qui da noi adesso abbiamo la speranza di questo farmaco… diciamo che il virus si è un po’ bonificato ma non sappiamo ancora quanto … Peraltro quando sento dei miei colleghi penso: “E se ci fossi io al loro posto”? La fede pertanto mi aiuta. Se abbiamo paura non curiamo più nessuno. Siamo in mezzo al virus, non lo vediamo, e comunque dobbiamo aiutare i nostri fratelli a prescindere da chi siano. Non provo rabbia, è una ulteriore prova che ci troviamo a vivere e che io personalmente vivo nella fede.
Anche i colleghi che si sono ammalati stanno dando una forte prova accettando con serenità il contagio: non si sono lamentati … ; un bellissimo esempio. Non c’è differenza fra medici e pazienti, tutti possiamo diventare pazienti.
Che consigli dà a chi si trova a casa?
Intanto stare a casa è importantissimo perché non consente al virus di contagiare altre persone.
Io consiglio ancora di stare a casa per contenere il contagio.
Lei ha lavorato molto con i casi di Aids, c’è qualche analogia?
Si, io lavoro principalmente con pazienti affetti da questa malattia. Guardi, questo virus è fra la Sars e l’Aids, e viene curato infatti con antivirali usati per l’Hiv.
Forse la forza di oggi mi viene da questa esperienza, una lotta che abbiamo fatto e vinto: oggi con una pillola al giorno il malato di Hiv sta bene. Quindi adesso dedichiamoci a vincere quest’altra guerra, perché per ora non abbiamo cure specifiche, si va a tentoni; speriamo di arrivare a trovare un vaccino.
Cosa pensa la mattina quando va in ospedale?
Eh. A volte prende la tristezza: “speriamo che oggi vada tutto bene, che non mi infetti, che non muoia nessuno, che possa aiutare gli altri” … poi penso alla mia famiglia che lascio in casa … all’inizio mi dicevo “mah, chissà se torno” …; poi la preoccupazione per l’arrivo dei farmaci che, richiesti da tutti, arrivano in ritardo e non possiamo fronteggiare la malattia; le responsabilità per una intera popolazione che ti chiama, le corse ed il dispiacere per non potere rispondere a tutti…; mi sembra una proprio guerra che spero finisca.
Quindi, ecco, penso questo e poi mi rivolgo al Signore: “Aiutami tu!”. Questo affidamento a Gesù e Maria è la cosa più importante. Rispetto a quello che ci troviamo davanti sento le preghiere di tanti. Sappiamo che non siamo soli nelle corsie dell’ospedale, altrimenti io a 60 anni dove troverei la forza di fare quello che faccio. L’importante è che noi non diciamo di no!
Sembra un film di horror, ma se giriamo la pagina diventa un film di fede, perché si capiscono tante cose… .
Una quaresima sociale?
Si, … anche se a volte mi chiedo il perché di questo, visto che già normalmente i medici siamo impegnati in prima linea … e adesso ancora di più: d’altronde non si può fare la vita frenetica senza farsi la Croce.