L’impegno dei cristiani per ricucire il rapporto tra uomo e donna

L’impegno dei cristiani per ricucire il rapporto tra uomo e donna

A carico dei cristiani grande è l’impegno oggi richiesto per ricucire il rapporto uomo-donna e grande anche la responsabilità di promuovere e accendere riflessioni, ricerche, critiche ed auto-critiche, domande e risposte, dialoghi e discussioni. Per ricucire occorre trovare spazi e tempi, persone che si prendano cura e prendano a cuore i bisogni materiali e spirituali di sé e degli altri

(Foto ANSA/SIR)

“Verso tuo marito sarà il tuo istinto ma egli ti dominerà”: si potrebbe dire che lo strappo tra l’uomo e la donna sia avvenuto poco dopo l’uscita dal paradiso terrestre. Era stato l’effetto di una loro decisione a infrangere l’incanto dell’amore voluto, tra loro, dal Creatore: “Essa è osso delle mie ossa e carne della mia carne” (cf. Gen 3,16; 2,23). E oggi i volti delle donne uccise dai loro uomini – mariti, compagni o ex – aprono una ferita profonda nell’anima e nella coscienza individuale e collettiva. Dinanzi a tanta ferocia e brutalità si resta abbattuti, senza respiro. Guardiamo sullo schermo il sorriso smagliante dell’ultima foto reperita dai cronisti di una donna sempre bella, giovane o anziana che sia, e colma di luce mentre vi scorre un audio di tenebra e di morte. Nonostante capiti un giorno su tre, ogni volta ci fa rabbrividire. E ormai è difficile reagire con subitanee, superficiali spiegazioni perché l’orrore ci lascia sempre più tramortiti. Ciò che conta è reagire, però, e molti lo fanno, cittadine e paesi interi che organizzano fiaccolate, si uniscono in cortei di protesta, partecipano ai funerali gridando parole di lacrime e di denuncia o scuotendo tutti insieme un mazzo di chiavi per fare rumore, per far sentire l’animo in rivolta. Nell’ultima manifestazione tenutasi a Roma sabato scorso, quello che più colpiva erano le parole di tante donne che coniugavano la violenza contro le donne alla violenza contro “i nemici”, vale a dire alla guerra, ambedue espressioni di un maschile malato, di un patriarcato non più di legge – negli Stati democratici come l’Italia – ma ancora presente nella coscienza di tutto l’Occidente – come diritto di dominio del forte sul debole, come licenza di chi intende la facoltà di governare come il potere di farsi proprietario dell’altro/a, della sua vita e della sua morte.

Se è vero, infatti, che sul patriarcato non è più stabilita giuridicamente né la famiglia né la società, è tuttavia innegabile che i metodi di governo di certi patriarcati – come la sottomissione per mezzo della forza e l’ottenimento dell’ubbidienza attraverso la violenza verbale e fisica – siano pienamente vigenti e le vittime preferite siano ancora le donne (nonostante l’adozione di metodi simili anche da parte di donne al potere!).

A causa di un patriarcato proprietario, secondo la Scrittura, la moglie adultera era esposta alla lapidazione, faccenda che era in mano ai mariti ma, in certi casi, persino ai padri delle donne fedifraghe. Ma l’elemento da cui sgorgava la violenza non erano le leggi che discriminavano la donna ma anzitutto il fatto che, per contrarre il matrimonio, non occorresse l’amore. Ci si sposava per mantenere od accrescere i propri beni materiali e la poligamia serviva a dare ancor più onore e potere all’unico marito. Ma l’amore non serviva! Le Scritture, però, mentre recepiscono la prassi umana antica di questo patriarcato, ne criticano radicalmente il valore. Già nell’Antico Testamento il Dio dell’Alleanza dice al suo popolo: “Mi son legato a te perché ti amo”! (Dt 7,7) e non per altri scopi di possesso o di mercato. E quando lei – Israele nella metafora – lo abbandona per i suoi tanti amanti (= gli idoli) Lui non usa violenza ma tenerezza, misericordia e perdono. E non uccide certo i suoi figli! Cosa terribile che, invece, fanno oggi i mancati mariti che sono anche padri mancati. Inconsistenza affettiva, terrore del nulla che ripiomba nel nulla del terrore. È il tessuto stesso della violenza che uccide. Vita negata che nega la vita a sé stessi nell’altra.

La fede cristiana conferisce alla donna la pari dignità con l’uomo, com’era già stato voluto da Dio nell’Eden, poiché: “rivestiti di Cristo non c’è più maschio né femmina” (Gal 3,28).

La donna è libera dal possesso degli uomini, nel Cristianesimo, nonostante le cattive interpretazioni di alcune pagine del Nuovo Testamento.

Ma come mai, allora, tra le cause della violenza attuale sulle donne si evoca anche l’adagio: “Dio, patria, famiglia”? Come mai questo trinomio è inteso da moltissime donne come la causa da addebitare alla religione e, in Italia, a quella cattolica? Credo che, nel passato, un cedimento alle culture patriarcali mondane da parte della Chiesa abbia creato la strana alleanza e che, ancor oggi, il clericalismo continui ad avere un certo ruolo in questo addebito. Ma il Vangelo proprio no! E l’intero corpo biblico – se opportunamente interpretato – formerebbe un coro contro la violenza sulle donne, contro il potere del marito sulla propria moglie, al contrario direbbe: “Chi ama la propria moglie ama sé stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa” (Ef 5,28-29).

A carico dei cristiani grande è l’impegno oggi richiesto per ricucire il rapporto uomo-donna e grande anche la responsabilità di promuovere e accendere riflessioni, ricerche, critiche ed auto-critiche, domande e risposte, dialoghi e discussioni. Per ricucire occorre trovare spazi e tempi, persone che si prendano cura e prendano a cuore i bisogni materiali e spirituali di sé e degli altri; occorrono amici, luoghi di solidarietà, affetti parentali e presenze della scuola, delle scienze e del pensiero, dell’etica delle relazioni; occorre la società e la politica, che non ci lascino soli, che si mettano a un tavolo e invitino dicendo: “Su venite, discutiamo” (cf. Is 1,18). Prima che la parola si perda e la “belva” si accovacci alla nostra destra per divorare ogni cosa (cf. Gen 4,7).

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