Per parlare di giornalismo bisogna toccare la carne viva di tantissimi professionisti travolti dalla crisi del settore. Questa provincia, nell’ultimo anno, ha dovuto subire la chiusura della redazione locale del Giornale di Sicilia e sopportare il proliferare di giovani e meno giovani improvvisati “strilloni” della notizia.

E poi le minacce, le intimidazioni. L’auto bruciata ad un cronista, gli attacchi – anche violenti – sui social, la deriva verbale contro chi, come unica colpa, ha il coraggio di continuare a raccontare i fatti.

Eppure, questa categoria, ormai in crisi strutturale da tempo, con gli ultimi dati diffusi sul crollo delle vendite dei quotidiani tra il 2013 ed il 2019, derisa sui social, costretta ad inseguire “lanci” da tastiera, continua ad essere richiamata al senso della verità, alla responsabilità del ruolo.

Sì, valori che i giornalisti ben conoscono. Che spesso vengono disconosciuti da qualcuno nel nome della linea politico-editoriale della propria testata. Eppure, ciclicamente, la categoria viene invitata ad essere ancora libera, onesta intellettualmente, coraggiosa e sincera.

E in tutto questo ci sono le ferite lancinanti sulla carne di tanti giornalisti. Molti di questi impegnati da anni, sfruttati e sottopagati. E poi abbandonati al loro destino.

Giornalisti come lavoratori, un’immagine difficile da comprendere. Quasi come, chi ha scelto questo mestiere, non avesse la stessa dignità di ogni operaio, impiegato, lavoratore. Solo i richiami alla verità e alla responsabilità. Senza essere ascoltato, abbandonato in quel limbo dove girano quelli che “fortunati loro, sono giornalisti: se la spassano”.

E non basta più guardare agli appelli come, esclusive, sottolineature dell’importante ruolo della stampa. I giornalisti, noi tutti, lo sappiamo bene. Si scrive per aiutare a migliorare le cose, lo si fa con la stessa, indomabile, a volte incomprensibile, passione di venti o trenta anni fa.

In questa provincia, una parte della politica, forse quella più arrogante e litigiosa, continua a manifestare tutto il proprio malessere verso la categoria. Ma si tratta di quel malessere antico, oggi più accentuato dagli “adoranti” supporter sui social: “parli bene di me” e sei il più grande giornalista, “scrivi che ho sbagliato e mi critichi” e sei un indegno da bannare o, addirittura, segnalare all’Ordine dei giornalisti.

“Il nostro ruolo – scriveva Albert Londres, un giornalista francese – non è quello di essere per o contro; è di girare la penna nella piaga.”

Oggi dobbiamo imparare a guardare la nostra carne, dobbiamo avere il coraggio di parlare anche di noi. Con verità e responsabilità. Magari qualcuno inizierà a capirci qualcosa.

(*) Segretario Assostampa Siracusa

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