Ah! Finalmente posso star tranquillo, sentirla mia questa casa; godermela, ora che l’ultima rata del mutuo sta per scadere, senza pensare ai sacrifici che mi è costata. Ma ne valeva la pena? La casa che nei miei pensieri doveva essere il rifugio dalle fatiche, è ancora la mia casa? Quella che mi ostino impropriamente a chiamare la mia casa in realtà è un condominio, una multiproprietà. Non so esattamente quale sia la definizione esatta di un luogo, un oggetto (o di una casa per l’appunto) per il quale uno solo si affanna tutta la vita a pagare le rate del mutuo  mentre gli altri se lo godono, rivendicando diritti acquisiti per… virtù divina. Nella mia casa, dicevo, gli inquilini siamo sei e tutti con un ruolo di comando gerarchico piramidale decrescente a mano a mano che dal più alto in grado si va giù. Li elenco in ordine di importanza: io, che in teoria dovrei occupare il ruolo di capofamiglia; mia moglie, alla quale per tradizione spetta il ruolo di regina; le due figliolette, principessine viziate e indisponenti; il pappagallo malese, cui dovrebbe spettare solo il ruolo di pappagallo ma che, in realtà, è il mio peggior nemico. Mia moglie si ostinò a comprarlo, nonostante il mio parere contrario, in un negozio di animali, a Milano. La bestiaccia dovette intuire la mia avversione nei suoi confronti perché mai mi ha mostrato un briciolo di simpatia e, sin dal primo giorno, si è coalizzata contro di me. Il cameriere inesistente completa il quadretto familiare. Inesistente per il semplice motivo che, non potendomene permettere uno vero, ho dovuto arrangiarmi con la fantasia. Potrebbe andare bene anche così, se non fosse per il fatto che non potendolo utilizzare, spesso e volentieri mi è toccato svolgere le sue incombenze. Il nonno e la nonna si possono considerare aggregati, vivono nella villetta accanto ma spesso, troppo spesso, sconfinano.

Sempre a rate, avevo comprato un televisore, divenuto proprietà esclusiva della prima figlia, la quale gradisce, assieme alla madre, le “telenovelas” d’importazione che durano cent’anni. Cominci a seguirle da bambino fino a ritrovarti con la barba bianca ancora seduto a gustarti l’infinitesima puntata, senza renderti conto che i protagonisti, nemmeno avessero ingerito l’elisir dell’eterna giovinezza, sono rimasti nel fiore degli anni a irriderti per la tua stupidità. Pazienza, mi dissi sospirando, compro un altro televisore, piccolo, di ripiego. Nel frattempo, però, la seconda principessina ha smesso i pannolini ed è già in età di cartoni animati. Anche il secondo televisore diventa proprietà esclusiva. Che faccio, ne compro un altro ancora? E se poi  nasce un’altra figlia? Anzi, magari sono i televisori che mi stimolano la prolificità. L’idea di una casa piena di figlie mi avvilisce, e anche quella di una casa piena di televisori non è meno deprimente.

Casa, dolce casa, perché mi hai tradito? Eppure sei così graziosa, con il tetto di mattoni rossi, la veranda, il giardinetto con il prato inglese, l’albero dei limoni, il fico d’india spinoso dove il cameriere inesistente va a sedersi quando si vuole punire per qualche manchevolezza; le rose, i gerani. Forse il problema andrebbe affrontato alla radice, siamo in troppi a contenderci gli spazi a disposizione, qualcuno dovrebbe essere eliminato. Si potrebbe cominciare dal pappagallo che è quello che più mi sta sulle scatole. Mia moglie, da ottima casalinga, ci tiene all’ordine e alla pulizia, per questo mi richiama più volte nel corso della giornata: “Non calpestare i tappeti del bagno!”.

Che tappeti sono se non possono essere calpestati? Questa non l’ho mai capita.

“Bagno!” gracchia il pappagallo.

“Non metterti in salotto a scrivere, ché lasci sempre in disordine!”.

Anche questo mi è vietato.

“Disordine!” ripete il pennuto maledetto, e ormai comprendo con infinita amarezza che anche lui mi ha scavalcato nella gerarchia del valori.

(*) Ringraziamo l’autore, apprezzato scrittore che vinto numerosi riconoscimenti nazionali, per i suoi inediti racconti.

Condividi: