La crisi della politica è un dato scontato. Si tratta di una crisi profonda che riguarda una molteplicità di aspetti: è come se i fondamenti dell’agire democratico fossero andati in crisi, i riferimenti fondamentali al sistema liberale non venissero più riconosciuti.

Non si tratta quindi solo di mancanza di visione: la politica procede alla giornata con soluzioni pragmatiche che non costruiscono il futuro. Ad acuire la crisi che stiamo vivendo è anche la quotidiana mancanza di riconoscimento dei ruoli tra maggioranza e minoranza.

In un sistema democratico sano il popolo decide attraverso le elezioni, di volta in volta, chi deve governare e chi deve fare opposizione, l’imbarbarimento di questi anni traduce questa dinamica in uno scontro muscolare senza quartiere. Le conseguenze sono drammatiche su singoli aspetti e in definitiva producono il logoramento della stessa dinamica democratica. Dovrebbe essere evidente che maggioranza e opposizione contribuiscano entrambe, nella distinzione dei ruoli, ad un risultato: chi governa ha il dovere di proporre soluzioni, trovando le risorse e stabilendo priorità, l’opposizione ha il dovere di controllare l’operato del governo integrandone in vari modi l’azione. Ad esempio nel procedimento legislativo che si realizza ai vari livelli, le minoranze possono contribuire attraverso emendamenti alla scrittura di una legge ed è intelligenza della maggioranza, oltre che un dovere di correttezza istituzionale, accogliere determinate proposte perché la legge, che è per tutti, ne esca migliorata.

Se guardiamo quanto è accaduto in occasione del recente scoppio dell’epidemia, abbiamo una ennesima dimostrazione di come la politica sia malata, o comunque fatichi a trovare un punto di equilibrio. La situazione ha messo a nudo la fragilità della politica e lo scarso spessore di una dialettica maggioranza/opposizione non costruita su contenuti e letture articolate della realtà. La logica dell’emergenza, vede prevalere competenze tecniche ma non può fare a meno delle azioni politiche.

Le opposizioni esercitano la critica in modo sistematico su aspetti anche secondari, magari inseguendo un po’ di visibilità ma, allo stesso tempo, sollecitando reazioni irresponsabili in varie fasce della popolazione.  Anche la richiesta del supercommissario va in questa direzione: si vorrebbe che il volto della crisi non fosse quello del capo del governo e dei ministri ma di un tecnico magari vicino alle minoranze.  Mattarella ha ben spiegato che è compito costituzionale del governo guidare il paese nella crisi e non ci sono spazi per un ‘commissariamento’ della politica.

Governo italiano ha inquadrato la situazione di emergenza come un evento igienico–sanitario idoneo a far scattare l’apparato della Protezione civile e a tal fine ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria. Inoltre, con un decreto legge, che ha individuato una serie di interventi limitativi delle libertà e di alcuni diritti fondamentali e ne ha rimesso l’attuazione a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri.

Scelta delicata e inedita su cui, oltre alle opposizioni, la garanzia è data dal nostro sistema istituzionale attraverso ad esempio la Costituzione e la funzione (svolta in modo impeccabile) dal presidente della repubblica.

Certo sarà utile, ad emergenza superata, una valutazione sulla adeguatezza e sulla coerenza di queste misure, ma intanto l’ordinamento in cui viviamo costituisce una efficace garanzia.

Anche da questa situazione si può ricavare un insegnamento: la necessità di considerare in prospettiva riforme opportune senza inseguire prospettive demagogiche e irresponsabili (l’uomo forte al comando) e senza stravolgere l’ordinamento costituzionale che ci ha offerto, anche in questa crisi, una prova del suo equilibrio.

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