Titolo della settimana. Million dollar baby, 2004 di Clint Eastwood.

Da Sergio Leone a Don Siegel, suoi maestri riconosciuti; dallo Straniero senza nome all’Ispettore Callaghan ne è passata acqua sotto i ponti.

L’uomo con due espressioni, col sigaro e senza, come sosteneva Leone, poi clamorosamente smentito, con un crescendo poderoso ha scritto, e continua, memorabili pagine di cinema.

Del 2004 è una delle vette di una carriera difficile da emulare. Oggi parliamo di Million dollar baby, che Clint estrapola dalla raccolta di racconti Rope Burns di F.X. Toole ex pugile, allenatore e scrittore statunitense. Frank Dunn ex pugile ormai avanti con gli anni gestisce, con l’aiuto di Scrap, anch’egli ex pugile, una palestra di periferia a Los Angeles, quando gli si presenta davanti Maggie Fitzgerald, giovane cameriera con la passione della boxe, l’uomo rifiuta, perché contrario al sesso femminile in questo ambito sportivo. Maggie non si scompone, e dall’alto della sua esperienza di vita fatta, nonostante la giovane età, di sofferenza e sacrificio, riesce a scalfire il rude Frank fino a toccargli il cuore.

Durante il match valevole per il titolo mondiale, succede qualcosa di irreparabile. Clint in anticipo sui tempi, sui cliché e sulle mode ci racconta una storia che parla di tutto, femminismo, famiglia, riscatto sociale, eutanasia, senza un filo di retorica e senza spettacolarizzazioni ma con una misura e una delicatezza disarmante. Film che inizia e subito si ha la sensazione di assistere al solito film acchiappa pubblico sullo sport, ben fatto, con il riscatto attraverso di esso, e invece, di colpo, come un pugno nello stomaco Clint ci porta in territori inaspettati, contro certe regole già scritte del cinema odierno e anche contro le case cinematografiche che avevano rifiutato il progetto, una pellicola emozionante, dura e soprattutto eastwodiana.

Film diviso, ma in maniera naturale, in due parti, quella sportiva e quella in cui Frank si riscopre padre, ed è questo il vero colpo da ko. Oltre a Clint, uno straordinario Morgan Freeman e una Hilary Swank mai più a questi livelli. Quattro gli Oscar: film, regia, Freeman e Swank. Fotografia di Tom Stern e musiche di Clint e Kile Eastwood.

Eastwood come ha sempre fatto nella sua carriera da regista affronta qualsiasi argomento lasciando il giudizio a noi spettatori, e ancora una volta non possiamo che toglierci il cappello e applaudire questa ennesima meraviglia di una carriera che ancora non conosce la parola fine.

Buona visione

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