Da più di quindici giorni chiusi in casa per cercare di fermare il diffondersi del virus. Una epidemia, anzi pandemia non prevista, sottovalutata agli inizi e difficile da tenere a bada e da circoscrivere poiché generata dal Covd 19, sconosciuto nella sua evoluzione.

Soprattutto in certe ore del giorno Siracusa, come del resto anche altre città, è spettrale e un assordante silenzio gira veloce per le strade a ricordare di noi una fragilità che avevamo dimenticato di avere e soprattutto di essere. Ma siamo anche forti, capaci di affrontare il rischio per venire incontro a chi ha bisogno di aiuto. Anche a Siracusa il personale sanitario in prima linea a fronteggiare una situazione che per fortuna  nella nostra città non ha le dimensioni drammatiche di altre città del nord Italia. E da noi la preoccupazione aumenta poiché  tutti si ha consapevolezza che le nostre strutture sanitarie non sono efficienti come quelle del nord che pure sono al collasso.

E’ paradossale, ma pare che gli ospedali, luoghi deputati alla guarigione delle malattie, siano invece i posti dove è maggiormente il rischio di essere infettati. I familiari dei malati non possono visitarli e non solo quelli che hanno contratto il virus, ma vi è il divieto di accedere in ospedale per familiari di qualsiasi paziente. Proprio ieri il papà di un mio nipote acquisito è morto senza che i familiari potessero assisterlo. Ovviamente niente funerale.

Dicevo della nostra reclusione in casa. La casa, questo contenitore che tutti ci accoglie e dove le dinamiche relazionali devono essere contenute, poiché, al di la della retorica del “volemose bene” i problemi interpersonali che si vivono nella normale quotidianità, ammortizzati dal nostro lavoro giornaliero, dai diversi spazi frequentati, oggi emergono poiché viene a mancare lo spazio vitale per ciascuno di noi e i problemi si acuiscono. Ma, come si dice in questi casi, al peggio non c’è mai fine. C’è infatti chi sta peggio. E’ di tutta evidenza che qui al sud, nella nostra città, tutto sommato una città di provincia, la casa è vissuta di più che altrove. Noi abbiamo più dimestichezza con la nostra casa, la sentiamo più nostra. Immaginate, invece, chi nelle grandi metropoli abituato a uscire la mattina presto e ritornare la sera…deve riconsiderare quel mondo e farlo suo, deve modificare, resettare il proprio sistema di riconoscimento e far diventare per se elementi punti di riferimento che prima non lo erano o lo erano di meno.

E poi, i poveri tra i più poveri. Le persone disabili, gli autistici, coloro che soffrono di malattie mentali, o di dipendenze patologiche, le persone anziane non autosufficienti, la loro sofferenza e il loro disorientamento sono pesantissimi e aggiungono preoccupazioni ad una famiglia quella nostra, quella del sud, che, maggiormente rispetto ad altre famiglie del nord del Paese, svolge tradizionalmente un servizio di assistenza insostituibile per la insufficienza di un Welfare pubblico.

La mia esperienza personale è di un operatore che lavora presso il Servizio delle dipendenze patologiche dell’asp di Siracusa. Il nostro Servizio rimane aperto e i nostri utenti continuano a essere aiutati...Ci è stato intimato da parte dell’Asp di seguire solo i casi urgenti. Purtroppo nel nostro lavoro è assai difficile distinguere quale caso sia urgente e quale no, soprattutto in relazione al fatto che molto spesso il nostro lavoro consiste in una sorta di contenimento per evitare che i nostri utenti vadano in tilt divenendo quindi più difficilmente gestibili da noi operatori e per le loro famiglie. Per questo siamo a rischio contagio. Alcuni nostri utenti per la patologia e le condizioni socio economiche che vivono  non sono sempre in grado di seguire le prescrizioni di salvaguardia dal virus. Noi diciamo che lavoriamo comunque in sicurezza rispettando le regole.

E poi i bambini che vivono due sentimenti contrastanti: il piacere di avere per se i genitori per un tempo lungo, ma in una situazione che percepiscono non normale e dalla quale traggono contemporaneamente un senso di paura. Le trasformazioni repentine disorientano i grandi, li fanno entrare in un campo di insicurezza, figurarsi i bambini che di colpo non possono più avere relazione fisica con i nonni.

Ma il campo di battaglia che sta mietendo più vittime è quello del lavoro e della economia.

Il nostro territorio, da decenni, un territorio dal punto di vista del lavoro soprattutto giovanile e della economia in generale non è certo un territorio florido, oggi, a causa di questa epidemia, rischia di ricevere un corpo mortale. Le entrate reddituali in molte famiglie sono crollate di colpo e si ha forte timore per il futuro.

Di fronte a tutto questo che dire?

Esiste la speranza che ce la faremo. Che la vita vincerà e continuerà. Ma io in questi giorni, ad esser sincero non ce l’ho fatta ad usare la retorica dell’ottimismo, dell’invocazione e della preghiera facile. Piuttosto ho sperimentato una sorta di silenzio di Dio. Un silenzio che ho voluto gridare nche attraverso questi versi che condivido con voi.

 

IL SILENZIO DI DIO

Nemmeno in quel pezzo di legno

che ti teneva appeso

ti scorgo.

Ti hanno portato

dove il buio della  notte

ci fa paura,

e lì non oso essere.

Non so scendere negli abissi,

resisto qui spaesato,

confuso, desolato.

Tu non parli più

e il silenzio del tuo Dio

si espande

e mi opprime.

Io, fermo come roccia,

resto qui.

E se un giorno ti incontrerò

Ti chiederò conto.

La tua indifferenza

che ora struscia la mia pelle

mi è difficile sopportare.

E se tu non ascolti

non ci sei

e  riaffiora soltanto,

vera,

la mia dimenticata

fragilità.

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