“Nella speranza siamo stati salvati“, dice san Paolo ai Romani e anche a noi. Anche san Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos – il senso e la ragione- della loro speranza, “speranza” è l’equivalente di “fede”. Ogni agire serio e retto dell’uomo è speranza in atto, e noi abbiamo voluto parlare con un giovane frate carico di speranza in atto, un cappuccino della Provincia religiosa di Siracusa, fra Vittorio Midolo, residente nel convento di Augusta. La sua vita si svolge interamente lì, dedito all’evangelizzazione soprattutto della gioventù che segue con tanto amore e ardore.
Cosa significa in questo momento per te varcare la soglia della speranza?
Sicuramente quelli appena trascorsi non sono stati mesi facili. All’inizio non mi rendevo conto di ciò che stava accadendo e fin dove saremmo giunti. Certamente le nostre vite abituate a andare al ritmo di “treni in corsa”, focalizzati solo su noi stessi e sui nostri obiettivi da raggiungere, hanno subito una brusca frenata, e ciascuno ha dovuto riorganizzare le varie dimensioni del proprio vivere. Anche noi come comunità francescana abbiamo dovuto pianificare la nostra attività pastorale in linea con le nuove direttive, in pieno stile “smart work” con messe e catechesi online.
D’improvviso – prosegue fr. Vittorio – ci siamo scontrati con la realtà del limite, della sofferenza, la malattia e la morte. Ed in questo clima ciò che viene meno è certamente la speranza, perché obiettivamente la paura ci blocca, rischiando una vera e propria “paralisi”.
Questa situazione che stiamo vivendo, mi trova per così dire “allenato”, perché con la sofferenza e la paura della morte ci convivo giornalmente. È una lotta che già vivo da anni e mastico questa realtà da tempo. E allora è necessaria la speranza…! Quella speranza che non mi abbandona, nell’incertezza del domani, quella speranza che mi anima, si nutre della totale fiducia nella persona di Gesù Cristo; la consapevolezza che Lui cammina realmente al mio fianco e mi dice: “Non temere”, “Io sono con te”. Trovo grande conforto nel pensare che pure Lui sia passato per la via della croce, e che essa non è l’atto definitivo, ma il passaggio alla luce della risurrezione.
Quali nuove prospettive vedi per la fase due?
La fase due segna sicuramente la ripartenza; dopo questo momento di buio rivediamo uno spiraglio di luce. E’ necessario, tuttavia, fare appello alla prudenza e alla responsabilità; ripartire si, ma con oculatezza e rispetto delle norme, per non rischiare di sciupare il sacrificio di questi mesi, come non ha mancato di ricordarci il Santo Padre.
Questa emergenza ha provato duramente la nostra società, le nostre famiglie, sia in termini di vite ma anche economicamente. Sono sicuro che la chiesa, “sempre in uscita”, scenderà in campo per un sostegno non soltanto economico, ma per porgere una mano di aiuto e di conforto a chiunque si presenti in difficoltà.
Spero tanto in una nuova rinascita e un mutuo aiuto da parte di tutti noi. Da questa esperienza innegabilmente negativa, da queste ceneri, ci si potrà rialzare, ma non per tornare alle nostre “vecchie” vite – in tal caso avremmo sprecato una opportunità – ma per costruire una umanità nuova; rinnovata, trasfigurata da questa esperienza di dolore.
Come può esserci d’esempio fra Giuseppe Maria da Palermo, di cui celebreremo la commemorazione il 17 maggio?
In realtà, il piccolo Vincenzino Diliberto, il nostro fra Giuseppe, perdette la madre proprio a causa dell’epidemia di colera che colpì Palermo nell’aprile 1875. Ciò sicuramente cambiò radicalmente la sua vita e il suo carattere. Vispo e ribelle sin dalla nascita, questo evento segnò negativamente la sua vita, non solo privandolo del più caro dei suoi affetti, ma accentuando il suo carattere già oltremodo ribelle e fatto di eccessi.

Tomba di fra Giuseppe Maria da Palermo, Convento dei Frati Cappuccini in Sortino.
Ma non si perse mai d’animo! Specie in seguito alla sua conversione, coloro che lo circondavano apprendevano una grande speranza, frutto del mirabile cambiamento che la “grazia” aveva operato in lui. La sua speranza era forte perché saldamente ancorata in Cristo. Abbiamo molte testimonianze di amici e persone che lo hanno conosciuto che riferiscono della grande speranza che lo animava. Secondo me è proprio questa virtù di cui abbiamo bisogno adesso. Lui era veramente proiettato alla vera “Gioia”, non nelle realtà terrene, ma a porre la propria felicità nelle gaudio eterno.
La situazione negativa in cui ci troviamo va inquadrata secondo questa sapienziale prospettiva di speranza.
Il tuo ingrediente personale e particolare per questo tempo?
Non ho la ricetta della felicità, posso assicurarvi che la mia vita, come penso quella di molti, per i più svariati motivi, non è semplice da vivere e presenta le sue difficoltà. Però mi sento e sono felice! Essere felice non cancella di certo le mie sofferenze, ma queste non hanno, tuttavia, la forza di spegnere la gioia che porto dentro, nonostante i momenti di scoraggiamento, che certamente non mancano.
L'”ingrediente” per la mia vita felice lo prendo dal Vangelo, quando dice: “A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt. 6, 34), guardare la vita giorno per giorno con la certezza che se Dio si prende cura dei gigli del campo o degli uccelli del cielo, tanto più farà della mia vita, preziosa ai suoi occhi. Mi anima una piena fiducia nella provvidenza del Signore, sento la mia vita al sicuro nelle mani del Padre e questo mi aiuta ad essere sereno, sempre con un occhio sulla terra e uno al cielo, dove ci attende la gioia vera, la gioia piena.