A confronto con Francesco Pira, sociologo e docente di comunicazione e giornalismo

“La velocità e la  capacità di passare da un media ad un altro, fanno si che le fake news, immesse nel vortice della nuova comunicazione, hanno un peso, una capacità di produrre danni enormemente più grande che in qualunque altro momento storico”.

Recuperare quello spirito “originario” della professione che, nella definizione anglosassone, deve tornare ad essere il “cane da guardia della democrazia”. Un percorso nel quale sono cruciali un’efficace opera di contrasto alle fake news – attraverso la loro individuazione e smentita – e l’utilizzo di contenuti di qualità e la messa in campo di format innovativi da declinare attraverso tutti i vari mezzi, dalla carta alla tv, dalla radio al web. Il percorso per consentire al sistema dell’informazione di recuperare e accrescere la propria credibilità – che resta cruciale nel rapporto con il fruitore di informazioni – è quello indicato dal professore Francesco Pira, sociologo e docente di comunicazione e giornalismo all’Università degli studi di Messina dove è anche coordinatore didattico del Master in “Social media manager” e delegato per il job placement del Dicam (Dipartimento di civiltà antiche e moderne). Saggista e autore di numerosi volumi sui diversi aspetti della comunicazione (appena una settimana fa ha visto la luce “Fake news – Manuale semiserio di sopravvivenza contro le bufale” scritto a quattro mani con Raimondo Moncada per Medinova edizioni) è anche autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche. Avvenire l’ha inserito nel novero dei più accreditati analisti del fenomeno fake news.

  • Anche le fake news hanno cambiato pelle e sbaglierebbe chi pensa che siano poco più che “innocenti” divertissement: solo sottovalutazione o spia di una più diffusa difficoltà nel sapersi destreggiare tra vero e verosimile?

Ritengo che la manipolazione dell’informazione rappresenta da sempre un rischio grave per la democrazia e per lo sviluppo della società nel suo complesso, non ho mai pensato alle false notizie come a un innocuo divertissement. Una riflessione diversa potremmo farla se parlassimo di pettegolezzo della sua funzione sociale come ha spiegato brillantemente anche la collega Cava nel volume che abbiamo firmato insieme, Social Gossip. Ma oggi che assistiamo ad una trasformazione profonda della società, al progressivo indebolimento delle istituzioni, alla perdita di ruolo di rappresentanza come corpi intermedi dei partiti politici, osserviamo come vi sia ormai una completa mediatizzazione dei processi di costruzione dell’opinione pubblica. Gli individui appaiono profondamente destabilizzati. A dispetto del numero “infinito” di informazioni a cui ognuno di noi può avere accesso, si stanno invece riducendo gli strumenti e gli spazi che consentono una reale e continuativa partecipazione dei cittadini allo sviluppo della democrazia. In un tale contesto le fake news rappresentano il grande nemico della credibilità dei media e il motore della post verità e non si tratta di un fenomeno a carattere casuale o episodico.

  • Perché le fake news riescono a circolare con straordinaria facilità? Quanto influisce in questa facilità di circolazione delle fake quella sorta di compulsione irrefrenabile alla condivisione velocissima alla quale sembrano soggiacere in molti?

Con il collega Altinier nel volume Giornalismi abbiamo tracciato un modello, che abbiamo definito esagono delle fake news, per identificare quelle caratteristiche che fanno delle fake news una “arma di disinformazione di massa”. Di fatto le false notizie, la disinformazione, intesa come l’uso strumentale e manipolatorio delle informazioni per definire una specifica narrazione e visione del mondo, la disinformazione, intesa come informazione senza alcuna attinenza al reale ma non con intento manipolatorio, sfruttano le dinamiche di circolazione dei flussi informativi sulla Rete per penetrare nei diversi nodi e sfruttare l’effetto a cascata che le piattaforme social favoriscono. La velocità e la crossmedialità, ossia la capacità di passare da un media ad un altro, fanno si che le fake news, immesse nel vortice della nuova comunicazione, hanno un peso, una capacità di produrre danni enormemente più grande che in qualunque altro momento storico. E recentemente, anche il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha sottolineato la gravità del fenomeno. Tanto che il presidente dell’organismo ha dichiarato proprio che la pandemia di coronavirus “è stata al centro di una diffusa attività di disinformazione online, nella quale si sono inseriti attori statuali, attori strutturati, che intendono manipolare il dibattito politico interno, influenzare gli equilibri geopolitici internazionali, incitare al sovvertimento dell’ordine sociale e destabilizzare l’opinione pubblica in merito alla diffusione del contagio e alle misure di prevenzione e cura”.

  • La pandemia ha rimesso al centro l’esigenza diffusa di poter contare su un’informazione affidabile e verificata. A emergenza definitivamente superata, da dove dovrà ripartire il sistema mainstream dell’informazione tenuto conto che nel processo di produzione-diffusione delle notizie è esponenzialmente cresciuto il ruolo del social?

La pandemia da Covid 19 ha mostrato il fenomeno in tutta la sua gravità, in un altalenante ciclo di informazioni spesso contraddittorie che hanno pesato enormemente nell’opinione pubblica, generando una pericolosa situazione di infodemia, con una quantità eccessiva di informazioni circolanti che hanno reso difficile alle persone comprendere ciò che stava accadendo e individuare fonti affidabili. Dalla infodemia siamo passati alla psicodemia, con le persone che hanno cominciato ad avere paura, attacchi di panico. Oggi, all’avvio della fase 3, perdura un clima d’incertezza che il sistema dell’informazione fatica ad interpretare. Diventa improcrastinabile il superamento della crisi del giornalismo, deve riacquistare il suo ruolo di “Cane da guardia della democrazia” proprio mettendo in campo con un’opera costante di smentita delle fake news. In questa battaglia “diventa fondamentale il fact checking, il controllo delle fonti un tempo rigorosa regola dei media tradizionali”, Wolfgang Blau, direttore delle strategie digitali della testata britannica The Guardian, sostiene che “Adesso che così tanti cittadini consumano notizie attraverso i social media, compito sociale del giornalista consiste anche nello smontare false voci, una volta che superino una certa soglia di visibilità”. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che le testate giornalistiche costruiscano a poco a poco una propria comunità di lettori individuando, attraverso network di professionisti, temi sensibili per l’opinione pubblica e puntando sulla qualità dei contenuti e l’utilizzo di format innovativi da declinare con diversi strumenti: carta stampata, tv, radio e web”. Si tratta ovviamente di un percorso lungo e costoso ma soltanto l’autorevolezza così conquistata può difendere la democrazia dal qualunquismo e dalla propaganda.

  • La gestione della comunicazione istituzionale in questa recente crisi ha prestato, in più di una circostanza, il fianco a critiche apparendo impreparata ad affrontare in modo adeguata la fase più acuta dell’emergenza. Quanto ha pesato ciò nella possibilità di avere un racconto coerente con la realtà?

La comunicazione di crisi rappresenta un ambito specifico della comunicazione istituzionale, proprio per la sua complessità nell’individuare una strategia, gestirne le fasi e individuare le azioni. Per questo è fondamentale dotarsi di un piano e di strumenti di issue management sempre aggiornati in grado di essere messi in campo in modo efficace all’insorgere di una crisi. Del resto come la definizione stessa di crisi ci dice: la situazione di crisi rappresenta un evento inatteso, drammatico, senza precedenti che getta l’organizzazione nel caos e che può distruggerla in assenza di una risposta immediata e decisa. E proprio uno degli elementi che in una situazione di crisi viene fin troppo spesso sottovalutato è la velocità con la quale soprattutto un evento di carattere traumatico si manifesta e si espande sotto il profilo comunicativo. E’ necessario che vi sia capacità di reazione della struttura organizzativa; acquisire piena consapevolezza è il solo modo per avere la lucidità necessaria ad analizzare la situazione e individuare la strategia e le azioni più idonee per risolvere la crisi o quantomeno contenere i danni quando l’evento assume una dimensione di drammaticità assoluta. E, vero è che la dimensione e l’impatto dell’emergenza Covid 19 ha messo in difficoltà più di un governo, dando luogo a reazioni convulse, che in alcuni casi hanno rasentato il ridicolo. Nel caso italiano, di fronte all’aggravarsi della crisi siamo passati da una comunicazione che tendeva a minimizzare l’impatto da parte delle istituzioni ad una comunicazione che ha assunto toni drammatici. In alcuni momenti vi è stato poi un eccesso di comunicazione, con contenuti talvolta contraddittori e una mancanza di coordinamento tra gli enti che vedeva sullo sfondo lo sviluppo di conflitti istituzionali come conseguenza anche di contrapposizioni politiche. Naturalmente tutto ciò ha purtroppo contribuito al proliferare di disinformazione e misinformazione.

Aldo Mantineo

  • Dopo il proliferare sui media di virologi che hanno proposto tesi tra di loro anche in contraddizione, di recente anche l’Accademia Nazionale dei Lincei ha preso posizione eccependo che i dati scientifici forniti da Istituto Superiore della Sanità e Protezione Civile siano, al momento, “estremamente scarsi” per un’effettiva e completa comprensione dello sviluppo della pandemia. Anche la comunità scientifica, sul fronte della comunicazione, è stata colta in contropiede dalla pandemia?

Penso che la questione sia più complessa e investa un tema, quello della comunicazione sanitaria, che è strettamente correlato a quanto ho spiegato in relazione alla comunicazione di crisi. Comunicare in sanità, infatti,  rappresenta un compito tanto complesso quanto delicato. Questo perché investe in modo particolare due ambiti prevalenti: la comunicazione del rischio al fine di prevenire, contenere eventi che possono rappresentare un fattore critico per la salute pubblica; e la comunicazione di crisi nel momento in cui gli operatori sono chiamati a gestire situazioni di crisi sanitaria conclamata piuttosto che eventi che intervengono in ambiti circoscritti. Ora, appare evidente che nell’emergenza Covid 19, ci siamo trovati di fronte ad una crisi conclamata, una pandemia che ha colpito molte regioni del mondo, mettendoci di fronte a qualcosa che non era minimamente paragonabile alla crisi della Sars piuttosto che all’epidemia dell’Ebola, solo per citare le ultime in ordine di tempo. In questi mesi è in parte stato messo in crisi il concetto stesso di salute a cui i cittadini erano abituati ossia: che il significativo miglioramento della qualità della vita, l’aumento dell’aspettativa di vita e di salute facessero ritenere che essa dipenda dall’accesso ai servizi sanitari e alle prestazioni medico-sanitarie, e che la scienza medica sia una scienza esatta e che attraverso la diagnosi sia in grado di garantire sempre salute e longevità. Ecco questo paradigma ha ceduto il campo all’incertezza che deriva dal dover affrontare un virus sconosciuto, in evoluzione, sul quale si stanno conducendo studi e sul quale si stanno formulando ipotesi ma non ancora certezze. Ed è proprio ciò che apre le porte alla paura, e se i medici, gli scienziati, si contrappongono con le proprie tesi scientifiche nell’arena mediatica, rischiano di rendere ancora più fragile la relazione con il paziente – cittadino ed alimentare il falò delle fake news che, non da ora, ha tra i suoi bersagli prediletti, insieme a politica ed economia, la scienza.

  • Quale parola sceglierebbe per descrivere il momento attuale dell’informazione in Italia?

Più che individuare una parola mi permetto di porgervi una riflessione partendo da quella che ci propone Bauman che ha indagato sul senso della paura e le sue implicazioni con il male: il male e la paura sono gemelli siamesi. Nessuno incontra mai senza l’altro. O forse non sono altro che due modi di chiamare la stessa esperienza, uno che indica ciò che si vede o si ode, e l’altro ciò che si avverte – qualcosa di esterno, ma anche di interno, dentro se stessi. Ciò che temiamo è il male, e ciò che è male è per noi da temere. Ma che cos’è il male? Questa domanda, sebbene posta in modo tanto ostinato e infaticabile, è insanabilmente viziata: siamo destinati a cercare invano una risposta fin dal momento in cui ci siamo posti la domanda. La società italiana è attraversata da un senso di paura che si accompagna a quello che l’Istat ha definito, cattivismo, e che la pandemia non ha certo curato e forse acuito. In questo momento storico così delicato e che vede un futuro prossimo molto incerto, l’informazione non ha ancora trovato una sua nuova dimensione nel ruolo di mediatore, capace di leggere la realtà e decifrarla per l’opinione pubblica offrendo strumenti per comprenderla e porsi delle domande. Il rischio è che l’informazione e il pubblico si trasformino in due rette parallele che non si incontreranno mai, o meglio più.

Aldo Mantineo, giornalista e scrittore ha lanciato l’instant-bookFakecraziaL’informazione e le sfide del coronavirus” del giornalista Aldo Mantineo, edito in formato ebook da Media&Books. E’ acquistabile su Google Play Libri e si può richiedere all’editore: mediabooks.it@gmail.com.

Condividi: