I Vescovi delle diocesi siciliani tornano ad intervenire in merito alla proposta di legge sull’Autonomia differenziata, attualmente in discussione alla Camera dopo l’approvazione in Senato.

E non è la prima volta che lo fanno: già nel maggio dello scorso anno avevano presentato delle osservazioni, tramite il Vescovo mons. Marciante, delegato per la Pastorale Sociale.  Gli stessi vertici della CEI, con il Presidente Card. Zuppi, hanno più volte manifestato serie perplessità, che sono state evidenziate nei giorni scorsi anche a Siracusa, in un importante confronto tra varie, autorevoli voci.

I vescovi siciliani ora sottolineano, molto opportunamente, come ci siano ancora degli importanti aspetti da affrontare e risolvere, “specialmente in riferimento alla particolare autonomia di cui gode la Sicilia, essendo una regione a Statuto speciale ma che non ha visto ancora non del tutto attuato quanto contemplato in esso”. 

A tal proposito è bene ricordare che proprio nel cattolicesimo sociale si trovano i fondamenti dell’autonomia degli enti locali, all’interno di un’articolazione organica dello Stato. Basti pensare a don Luigi Sturzo, alla sua battaglia per “un sano e vero regionalismo”, che trova fondamento nel principio di sussidiarietà, basilare pilastro della Dottrina sociale della Chiesa.  “È tempo oramai – scriveva don Sturzo nel 1901 – di comprendere che gli organismi inferiori dello stato (regione, provincia, comune) non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell’ambiente, che sviluppi le iniziative popolari, dia impulso alla produzione ed al commercio locale. Così solamente la questione del nord e sud piglierà la via pratica di soluzione, senza ingiustizie e senza odii e rancori”.

I vescovi siciliani ribadiscono ora le “incertezze che attengono ai rapporti finanziari, alle risorse economiche, a fronte di un Sud del Paese che ha un enorme bisogno di risorse e che ha problemi strutturali storici che andrebbero risolti, attraverso un percorso reale, fattivo ed in tempi brevi capace di assicurare una risposta unica, certa e definitiva”. Ed ancora i vescovi sottolineano le criticità ancora esistenti in ordine alla determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni). 

“Territori maggiormente produttivi avrebbero introiti maggiori di altre realtà territoriali con una produttività storicamente ridotta e ciò trasformerebbe la differenziazione in diseguaglianza, con l’evidente rischio di colpire concretamente la coesione dei territori mettendo in grave pericolo l’unità nazionale. Infine non v’è traccia di fondo perequativo di solidarietà nazionale che permetta di riequilibrare le forti disomogeneità territoriali. Fino a che le regioni del meridione non raggiungono, con un fondo dedicato, almeno la media della capacità fiscale nazionale per abitante, non si può affrontare per nessuna regione il tema dell’autonomia differenziata a meno che non si preveda un fondo di solidarietà nazionale vincolato a sanare le disparità delle capacità fiscali territoriali, le cui risorse vengono distribuite con funzioni, sia di compensazione delle risorse attribuite in passato, sia di perequazione. Anche la riduzione del cosiddetto “fondo complementare” da 4 miliardi e 400 milioni di euro, a poco più di 700 milioni di euro rappresenta un ulteriore rischio per le regioni più povere. La Sicilia si trova immersa in questo scenario che potrebbe vedere uno Stato “arlecchino” con 20 regioni con profili istituzionali uno diverso dall’altro. Sulle 23 materie ogni regione potrà scegliere quali avocare a sé e quali no.

Ricordiamo – prosegue il dettagliato documento dei vescovi siciliani –  che secondo degli studi fatti dalla Ragioneria Generale dello Stato, la Sicilia perderà 1 miliardo e 300 milioni di euro circa l’anno: un impatto disastroso per una economia già in grande sofferenza. Ricordiamo però che la Sicilia ha già dal secolo scorso una sua specialità che è molto più rilevante della differenziazione. Bisogna rammentare gli artt. 36,37 e 38 dello Statuto della Regione Siciliana. A tale potente strumento, si aggiunge anche il comma 5 dell’art. 119 Cost. inserito dall’art. 1, comma 1, della legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2 che riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità.

Quindi, oltre che rilevare ciò che di critico esiste nell’attuale riforma, la classe dirigente politica siciliana dovrebbe chiedere al governo nazionale l’attuazione completa dello statuto e non sprecare le risorse in dotazione, in tal modo sarebbe avviato un percorso di superamento delle criticità portate dalla riforma sull’autonomia differenziata.  Le fondate superiori preoccupazioni rappresentate, siano intese quale stimolo per reagire agli squilibri strutturali ed economici fortemente presenti nel meridione e che potrebbero portare a colpire in modo grave l’unità nazionale in favore di preoccupanti spinte secessioniste istituzionalizzate”. 

Salvo Sorbello – Presidente Provinciale del Forum delle Associazioni Familiari

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