INTERVISTA ESCLUSIVA AL NUOVO PASTORE DELLA CHIESA DI SIRACUSA – PUBBLICATA SU “CAMMINO” Riproponiamo sul nostro sito web l’articolo già pubblicato nell’edizione tipografica del 20 Novembre 2020

A un mese dalla consacrazione e dal suo ingresso in diocesi, Cammino ha incontrato l’arcivescovo Francesco Lomanto per un confronto sul tempo che viviamo, i grandi temi della Chiesa e l’impegno fra storia e profezia. Una guida per i giorni che viviamo e la strada che ci attende.

Don Francesco, fuori da questa finestra che si affaccia sulla meraviglia senza tempo di Piazza Duomo, c’è un mondo che pensava di essere invincibile e che si scopre invece vulnerabile. Scombussolato e ferito da un virus invisibile e pericoloso, figlio di un benessere drogato e di una globalizzazione caotica. Il Papa ci invita a essere “Fratelli tutti”; a riscoprire i valori e le cose che contano, la gentilezza, la fiducia; a guardare al bene comune. Cosa ci insegna questa pandemia? In tempi così incerti e bui, dove abita la speranza?

La pandemia sanitaria ha messo a nudo non solo i limiti fisici dell’umanità, ma anche quelli della solidarietà. La tentazione di chiusura, di pensare esclusivamente ai propri confini e alla propria immunità potrebbe scatenare la ben più grave epidemia dell’egoismo. Tuttavia, questo difficile tempo di crisi ci sta donando anche segnali di grande solidarietà. La fratellanza è un bene necessario. Non ci si salva da soli. Ogni tipo di pandemia deve farci spostare lo sguardo da noi verso gli altri, per volgerlo insieme verso Gesù, unica Salvezza del mondo.

La pandemia sanitaria ha generato una allarmante pandemia sociale. Siracusa in questi mesi, pur non toccando punte di emergenza a livello sanitario, ha subito una pandemia sociale di eccezionale portata. La Caritas ha visto un incremento delle richieste del 500%… I nuovi poveri sono sempre di più. Come affrontare questa crisi?

La seconda ondata della pandemia rischia di essere peggiore della prima, soprattutto a livello sociale. Sono certo, però, che le forze buone delle associazioni caritative sapranno intervenire mettendo a frutto la creatività della carità. Ho saputo che a marzo, in occasione del primo lockdown, la Caritas diocesana, ma anche quelle parrocchiali e tante altre realtà di volontariato in sinergia si sono spesi per venire incontro ai bisogni dei più poveri, consegnando direttamente nelle abitazioni delle famiglie in difficoltà beni di prima necessità e farmaci, dando vita a un gara della solidarietà. Preghiamo il Signore, che, per intercessione della Madonna delle Lacrime e per la protezione di santa Lucia, allontani dai suoi figli ogni male fisico e spirituale.

Da uomo di studio e maestro di formazione per i futuri studenti di teologia a pastore della diocesi che fu di san Marciano. Con quali sentimenti affronta questa chiamata di papa Francesco?

Gesù, prima di ascendere al Cielo, ha inviato gli apostoli ad annunciare il Vangelo. Papa Francesco, affidandomi la cura pastorale della Chiesa siracusana, mi manda a servire la Chiesa nel nome del Vangelo e nella fedeltà a Dio. I miei sentimenti sono di grande fiducia, in quanto vengo a servire una Chiesa che è stata formata da santi pastori e irrorata dal sangue dei martiri. Una Chiesa con la presenza di inestimabili sacerdoti collaboratori nel ministero pastorale e un laicato responsabile e generoso. In questo compito non siamo soli. Gesù stesso ci ha garantito la sua reale presenza dicendo: Io sarò con voi, sempre! (Mt 28).

Ha scelto di iniziare il suo percorso dal Santuario della Madonna delle Lacrime. Perché?

Il Santuario della Madonna delle Lacrime è un punto di riferimento importante non solo per Siracusa, ma anche per la Sicilia e per il mondo intero. Il santo Papa Giovanni Paolo II, dedicando il nostro Santuario, ha detto: «Santuario della Madonna delle Lacrime tu sei sorto per ricordare alla Chiesa il Pianto della Madre» (06.11.1994). Quando ho ricevuto la notizia che il Santo Padre mi aveva scelto per la guida pastorale della Santa Chiesa di Siracusa, il pensiero è andato spontaneamente alla Madonna che da sempre mi accompagna nel cammino di ogni giorno. Inoltre, mi è sembrato ovvio che il luogo più opportuno potesse essere il Santuario della Madonna delle Lacrime che dà la possibilità di contenere molti fedeli, anche se poi a causa delle norme di contenimento del Covid-19 non è stato possibile riempirlo tutto. Ancora una volta voglio affidare il mio ministero episcopale alla Madonna con le parole che monsignor Mario Russotto mi ha consegnato il giorno della mia consacrazione: «La devozione e l’amore per Maria Santissima ti hanno accompagnato fin dalla tua nascita, perché vieni da quel paese profondamente mariano che è Mussomeli, dove la devozione alla Madonna dei Miracoli è fortissima. E dalla Madonna dei Miracoli sei passato al miracolo della Madonna che è il dono delle sue Lacrime! Sappi raccogliere le lacrime della tua gente per deporle nel Cuore Immacolato di Maria Santissima».

Il conforto della Madonna, il coraggio di san Marciano, gli occhi di santa Lucia, la fedeltà di san Michele Arcangelo… Quattro figure a cui guardare?

Sì, quattro figure a cui guardare e da cui lasciarsi guardare. La Madonna: con il suo Sì a Dio ci insegna lʼabbandono totale allʼamore di Dio che vuole il meglio per i suoi figli. Il coraggio di san Marciano che, da primo vescovo di Siracusa inviato da san Pietro, non indietreggiò dinanzi al martirio per difendere la fede della sua Chiesa. La purezza degli occhi di santa Lucia che illuminano e danno forza alla nostra fede in Gesù Crocifisso e Risorto. La fedeltà di san Michele, l’Arcangelo della Giustizia che ci dà la certezza della vittoria del bene sul male. Con devozione guardo a loro e chiedo a essi di poggiare il loro benevolo sguardo su di me, affinché anch’io possa come Maria dire il mio sì incondizionato e totale a Dio, come san Marciano possa con coraggio difendere la fede del popolo siracusano, con santa Lucia professare la fede in Gesù Salvatore, Luce del mondo e con san Michele Arcangelo lottare per il bene e per la Verità di Dio.

Nel suo saluto ha citato Sant’Agostino – «Per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano» –chiedendo l’aiuto di Cristo per sostenere «il fardello, la bisaccia dell’episcopato». Di cosa la riempie per questo viaggio?

Tra i tanti doni che ho ricevuto c’è una bisaccia appartenuta a mio papà, su cui un’artista di Canicattini Bagni ha disegnato il mio stemma episcopale. In questa bisaccia cʼè il Vangelo. Ci sono anche i valori che mi hanno trasmesso e insegnato i miei genitori, gli educatori del seminario e l’arcivescovo Alfredo Maria Garsia che mi ha ordinato presbitero: l’amore, la fede, la verità e la disponibilità al sacrificio per gli ideali grandi. Questa bisaccia, poi, dovrà contenere il pondus amoris (il peso dell’amore) dove custodire tutti coloro che il Signore mi ha affidato. Questo è quanto ho voluto esprimere nel motto episcopale Sanctificati in veritate (consacrati nella verità). Sono parole del testamento sacerdotale di Gesù, contenuto nel Vangelo di Giovanni, che rivela l’apice della missione di realizzare un circolo di amore mediato dalla oblazione, mediante la sua croce, di Cristo al Padre a favore dei suoi discepoli e di quelli che crederanno per mezzo di essi. Se il fardello della bisaccia dell’episcopato conterrà l’amore di Gesù, ogni azione pastorale sarà feconda nella volontà di Dio Padre. Questo chiedo per me e per la nostra Chiesa siracusana.

Nel viaggio c’è la meta e c’è il cammino. In che direzione vuole guidare la diocesi? E come? Con quali strumenti?

Il cammino e la meta coincidono e sono Gesù stesso. «Io sono la via la verità e la vita» (Gv 14,6) dice Gesù. E ancora: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre» (Mt 11,28-29). È quello che la Chiesa, con le indicazioni conciliari e con i suggerimenti del magistero dei sommi pontefici, ci insegna. Seguire Gesù con tutta la Chiesa è l’unico cammino da percorrere e l’unica meta da raggiungere.

La Chiesa vive una fase difficile. Su quali strade possiamo costruire un percorso nuovo per ravvivare il dono della fede? Cosa significa vivere la fede?

La Chiesa ha attraversato le intemperie dei secoli. Le nuove sfide dei giorni nostri non ci devono impaurire. Guardando alla storia della Chiesa, possiamo notare che proprio nei momenti più difficili, mettendosi in ascolto dello Spirito Santo, essa ha saputo reagire, riprendendo in mano il Vangelo, incarnando la sua fede nella storia di ogni giorno. Vivere la fede oggi vuol dire realizzare il nostro rapporto con Dio nella Chiesa, generata dal suo amore, fatta dai limiti degli uomini, ma santificata dallo Spirito Santo. E vivere nella Chiesa significa consacrarsi in essa per la vita del mondo, perché la Chiesa non può rinunciare alla sua missione di salvezza nei riguardi di tutto il mondo. Non dobbiamo dimenticare che la Chiesa è stata voluta da Gesù per essere faro di luce e di speranza per il mondo, lucerna posta in alto per dare luce a tutta la casa (Mt 5,15). Ogni crisi, se vissuta nella fede e nella carità, può essere l’inizio di una nuova primavera della Chiesa.

Quanto è fondamentale la fede per la crescita del territorio e della società?

La fede è un dono di Dio che va fatto fruttificare in ogni ambito della vita personale e comunitaria. La fede è dono e risposta personale a Dio, ma è anche un tesoro inestimabile della comunità ecclesiale che può e deve incidere nella storia, contribuendo a una crescita della società. Tutti, secondo il talento che Dio dona a ciascuno, siamo chiamati a far fruttificare il seme della fede e della carità. Nessuno escluso. Dalla fede e dalla preghiera delle suore di clausura a quella degli istituti religiosi di vita attiva, dall’azione pastorale dei sacerdoti e dei religiosi che vivono la loro vocazione a servizio della comunità ecclesiale, allʼopera dei laici impegnati nel sociale, dalle famiglie, ai giovani, ai bambini. La fede di ciascuno contribuisce alla crescita della carità di Dio nel territorio e nella società. Non occorre fare cose “straordinarie”, basta fare con fede e con amore le cose “ordinarie”, seguendo le beatitudini di Gesù.

Chiesa, fra storia e profezia…

La Chiesa, con la sua storia, ha un tesoro preziosissimo che rivela la presenza di Dio, e ha la forza di generare una profezia nuova nella carità e nella verità. Se siamo attenti ai segni dei tempi, possiamo già coglierne quei germi che ci fanno scorgere nuove vie ancora percorribili per lʼannunzio evangelico e per la promozione della vera dignità dellʼuomo. La Chiesa ha mantenuto intatto il deposito della fede che con carità deve, per mandato divino, consegnare a tutte le generazioni in segno di profezia divina.

Ci sono preti di strada, insegnanti, magistrati che ci mettono la faccia – a volte a costo della vita – nel lottare contro le mafie di questa terra, annunciando il Vangelo e aiutando gli ultimi. Qual è il valore della testimonianza?

Il santo Papa Paolo VI ha detto che «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Il testimone non parla per sentito dire, ma perché ha visto, ha creduto nella verità ed è disposto – come dice lei – a metterci la faccia. Il Signore non lascerà cadere invano nessuna opera di bene, da qualsiasi parte provenga. Abbiamo davanti ai nostri occhi la testimonianza di magistrati, educatori, giornalisti martiri della verità per il bene comune. Ricordiamo in modo particolare la luminosa testimonianza di don Pino Puglisi. Egli era un maestro, un educatore di giovani, ma ha inciso nella società soprattutto per la sua testimonianza di vita cristiana, e in particolare per aver incarnato pienamente nella sua vita sacerdotale l’invito di Gesù «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,16-17).

Dove sta allora la “differenza” cristiana?

La differenza mi piace presentarla con le parole di  papa Francesco il quale, rispondendo a una domanda, ha detto che «il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni. Non parlare tanto, ma parlare con tutta la vita: la coerenza di vita, proprio la coerenza di vita! Una coerenza di vita che è vivere il cristianesimo come un incontro con Gesù che mi porta agli altri e non come un fatto sociale» (Risposta alle domande dei fedeli in occasione della Veglia di Pentecoste, 18.05.2013). La differenza la fa Gesù che vive in noi. San Paolo, con fierezza, poteva testimoniare ai cristiani: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). La testimonianza cristiana va al di là della semplice filantropia, perché ha la forza di fare agire Cristo incarnandolo nella storia di ogni giorno. La testimonianza di giustizia e di amore alla verità per il credente acquista il significato di espressione della sua adesione e della sua manifestazione di fede a Cristo.

È il modo migliore per parlare ai giovani?

Assolutamente si. Ai giovani occorre offrire innanzitutto la nostra testimonianza autentica, e in ciò scopriranno il valore non solo della tradizione quanto della verità del Vangelo.

Qual era il suo sogno da bambino?

Da bambini sono tanti i sogni che ci possono accompagnare. Quello che ho maturato nel tempo e che, poi, il Signore mi ha dato la grazia di realizzare è quello di servire la Chiesa secondo gli insegnamenti che ho ricevuto dai miei genitori e dagli educatori che Dio ha messo sul mio cammino. Si può dire che ho sognato a occhi aperti, sin da quando mio papà mi ha permesso di entrare in seminario, nonostante tre anni prima il mio fratello maggiore avesse fatto la stessa scelta. I sacrifici dei miei genitori mi hanno permesso di realizzare il sogno di amare Gesù e di servirlo nella sua Chiesa, prima come prete della Chiesa di Caltanissetta, poi come docente e preside della Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo e oggi come vescovo della nobile e santa Chiesa siracusana.

Buon cammino, don Francesco!

Buon cammino a tutti noi nella carità di Gesù.

 

 

BOX BIOGRAFIA

 

CHI è.

Le origini nissene, sulle orme della Storia della Chiesa

Il nuovo arcivescovo di Siracusa, Francesco Lomanto, per tutti don Francesco, 58 anni, è originario di Mussomeli (Caltanissetta), ed è stato ordinato presbitero nel 1986. Cresciuto in una famiglia semplice, animata da forti sentimenti religiosi. Anche il fratello Achille, è sacerdote, oggi parroco della chiesa di san Giuseppe di Villalba nel centro nisseno. Ed è stato proprio lui, appena saputo della nomina episcopale del fratello a Siracusa, in una intervista a Cammino, a manifestare la gioia di tutta la comunità e a ricordarne le origini. «Abbiamo avuto una infanzia tanto bella quanto semplice. Figli di contadini, si lavorava in campagna: ci siamo fatti le ossa con la zappa. Siamo cinque fratelli: i maschi entrambi sacerdoti e tre sorelle. Lavoravamo e studiavamo a Mussomeli fino a quando non si è manifestata in noi la comune vocazione sacerdotale. Dopo l’ordinazione invece il servizio alle parrocchie era arricchito con l’insegnamento, e mi piace ricordare come mio fratello fosse sempre disponibile alle richieste dei confratelli». La vocazione è stata rafforzata e coltivata con lo studio. Nel 1991, don Francesco ha conseguito la licenza in storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma; nel 1992 il diploma di paleografia, archivistica e diplomatica presso la Scuola Vaticana; nel 2008 il dottorato in storia della Chiesa, ancora presso la Gregoriana. Tra i diversi incarichi, ha insegnato negli istituti “S. Agostino” e “Mons. G. Guttadauro” di Caltanissetta e nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia. Dal 1996 al 2011 è stato parroco di S. Enrico in Mussomeli, incarico che ha dovuto lasciare per la docenza nella Facoltà teologica di Sicilia, di cui nel 2015 è diventato preside. Autore di numerose pubblicazioni e voci in diversi dizionari, è membro della “Cattedra per lʼArte cristiana – Rosario La Duca” che la Facoltà ha eretto al suo interno e socio dell’Associazione italiana dei professori di storia della Chiesa. Il Santo Padre lo scorso 24 luglio lo ha quindi nominato, in maniera del tutto inattesa, nuovo Arcivescovo di Siracusa, dopo aver accolto le dimissioni per raggiunti limiti di età di monsignor Salvatore Papalardo. La Conferenza episcopale siciliana, nel corso della sessione autunnale, gli ha affidato la delega per la cultura e le comunicazioni sociali. Per don Francesco, da Mussomeli, si aprono nuove strade. Ma senza mai dimenticare la zappa. (G.Mat.)

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