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EX POST (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)

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Io, spiazzato al Teatro Greco come Unai Simone davanti a Jorginho

 Dopo un recentissimo passato (che purtroppo non é completamente passato… anzi) nel quale ci siamo scoperti virologi e un presente che ci vede tutti commissari tecnici della nazionale, ecco un futuro molto prossimo che ci fa essere tutti – almeno dalle nostre parti – un po’ critici teatrali. Una delle esperienze più coinvolgenti nella quale, anche in maniera inconsapevole, ci troviamo imbrigliati è quella di ascoltare la ridda di commenti, analisi e valutazioni che accompagna la (metaforica) chiusura del sipario della quotidiana rappresentazione degli spettacoli classici. Un’esperienza che, complice anche l’inusuale orario di inizio di questo ciclo e la considerevole lunghezza – decisamente fuori standard – delle rappresentazioni, assume un fascino tutto particolare per chi attraversando quelle poche centinaia di metri in moderata salita che dall’ingresso del Teatro Greco portano al varco di accesso dell’area del Parco della Neapolis si trova immerso in un mare di parole e di “secondo me”, “a mio avviso”, “se la poteva risparmiare”, “ci ha preso in pieno”, “ma che sono tragedie queste?”. Commenti, analisi e valutazioni che per un tratto diventano un’onda indistinta di parole e suoni considerato che una parte del viale è immerso nell’oscurità più fitta (un paio di lampioni spenti e la luna che preferisce non mostrarsi più di tanto…).

E ciò conferisce a quel momento un effetto ancora più particolare.Cammino, ascolto e penso. Dopo aver assistito alla rappresentazione di “Coefore-Eumenidi” di Eschilo nell’allestimento di Davide Livermore provo a ridurre e condensare il groviglio di sensazioni (ma anche emozioni) che mi ha suscitato utilizzandolo solo un termine: spiazzante. Ecco, seduti sui gradoni del Teatro Greco mi sono sentito a tratti come il malcapitato Unai Simone, il portiere della nazionale spagnola che nella semifinale degli Europei contro l’Italia ha visto rotolare lemme lemme, ma inesorabilmente, il pallone calciato dal dischetto da Jorginho in fondo alla rete. Vedeva che la sfera sarebbe finita alle sue spalle ma lui non poteva fare altro che guardare ciò che il fato (sotto forma di un autentico pregevole e preciso colpo da biliardo) aveva deciso.

Ecco, il mio spiazzamento nell’assistere a “Coefore – Eumenidi” é stato dello stesso tipo: vedevo la rappresentazione che si snodava sotto il mio sguardo, impotente, impossibilitato a far cambiare traiettoria (se l’avessi desiderato) a quella narrazione, a quell’allestimento che scivolava tra colpi di pistola e coppe di vino tracannate con avida voluttà, tra abbracci, lacrime, imprecazioni ed invocazioni agli dei e le magiche atmosfere create da una scenografia luminosa di forte impatto rese ancora più suggestive dall’oscurità incombente e da una serata appena ventilata.

Spiazzante, sì. Almeno se prendiamo a parametro i canoni tradizionali della tragedia, quelli più puri dove la musicalità e l’armonia del testo la faceva da padrona (assieme, ovviamente, alla storia da raccontare). Ma che dire davanti ad un allestimento così fortemente innovativo, che lavora su più registri differenti, che fa del testo di Eschilo uno spettacolo di forte suggestione e che spalanca le porte alla riflessione, alla discussione, al dibattito. Non è la prima volta che un regista sorprenda (scandalizza, dal punto di vista dei puristi) per la particolare chiave narrativa scelta, per l’attualizzazione del tema (di per sé sempre assai attuale) della tragedia greca, per la scelta di un corredo scenografico e scenotecnico ardito (chi ricorda gli allestimenti di Luca Ronconi che curò la regia dell’intero ciclo di spettacoli classici del 2002?). Non sarà nemmeno l’ultima. E, probabilmente, questo è ciò che più affascina nel fare teatro e nel fruirne da spettatori.

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