C’è un “pezzo” importante della cooperazione internazionale che passa proprio da Siracusa in quell’Afghanistan che in queste ultime settimane è rapidamente tornato indietro a prima che l’attentato alle torri gemelle di New York – tra poco saranno venti anni esatta da quel drammatico 11 settembre 2001–  cambiasse, a quanto pare soltanto temporaneamente, il corso della storia del Paese asiatico. Infatti, dal 2003 al 2010 l’ISISC – Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali, dal 2017 diventato “Siracusa International Institute for Criminal Justice and Human Rights” – è stato presente  in Afghanistan con attività finanziate principalmente dal Governo italiano e dalle Nazioni Unite, ma anche da Gran Bretagna, Lituania, Norvegia e Stati Uniti, con una serie di attività di alta formazione relative alla riforma del sistema penale, alla tutela dei diritti umani, alla riforma penitenziaria e alla lotta agli stupefacenti, coinvolgendo oltre 2.700 magistrati e ufficiali di polizia e svolgendo attività in ben 19 delle 32 province afgane. Ad animare in larga parte alcune di queste iniziative Giovanni Pasqua, che ha rivestito il ruolo di direttore generale dell’Istituto – fondato e diretto sino alla sua scomparsa dal prof. M. Cherif Bassiouni, uno dei padri del Diritto penale internazionale –, ed in questa veste è stato responsabile della direzione e gestione dello sviluppo dei programmi di ricerca e formazione dell’Isisc. Una lunga esperienza in campo internazionale che sino a una decina di anni fa lo ha portato in più di un’occasione in Afghanistan. E’ con lui che proviamo a capire, per quanto sia possibile farlo in un scenario così in tumultuoso e costante cambiamento, quali scenari possa aprirsi.

Nelle analisi più ricorrenti di queste ore la parola-chiave sembra essere “fallimento” e lo scenario principale prospettato viene considerato assolutamente sovrapponibile a quello dell’Afghanistan di 20 anni fa quando prese le mosse l’operazione militare internazionale. Non resterà dunque nulla di quanto realizzato in tutto questo periodo?

Una doverosa premessa. Quella Afghana è una realtà che non frequento più assiduamente da una decina di anni. Detto questo, a mio avviso il crollo del regime, così’ come in Iraq e Libia , é la naturale conseguenza di un approccio “imperialistico”. Quando si interviene con la pretesa di sostituire ai precedenti governanti, dei nuovi leaders che abbiano come requisito fondamentale l’asservimento alla propria causa (e non a quella del Paese), si é già creato il primo vero fattore di insuccesso: la mancanza di legami forti fra la popolazione e chi la governa. Di conseguenza anche la burocrazia che si vuole andare a creare per sostenere le fragili strutture statali finisce per scontare questo peccato originale. La cosa viene amplificata in contesti di natura tribale e con complessità etniche nelle quali prevale l’appartenenza alla competenza. Si genera insomma un cortocircuito nel quale si instilla sin dall’inizio la mancanza di fiducia nelle istituzioni il che favorisce il dilagare della corruzione a tutti i livelli.

La rapidissima avanzata dei talebani non appena la coalizione internazionale, e in special modo le truppe USA, ha iniziato il ritiro ha sorpreso anche gli osservatori più avveduti: è la riprova che i modelli occidentali di governo proposti e la gestione delle forze armate sul campo non hanno completamente attecchito nel vissuto quotidiano del popolo afghano o hanno influito altri fattori (e, se sì, quali)?

In definitiva, sembrerebbe che un esercito (che ho sentito dire composto addirittura da 350.000 soldati) seppur affiancato da forze internazionali, nel momento in cui ha perso il proprio tutore non ha più sentito la necessità’ di difendere istituzioni dalle quali non si sentiva rappresentato.    Le voci della fuga del presidente con svariati milioni di euro confermerebbero che nell’intero “progetto istituzionale” voluto dagli internazionali, in realtà non credesse nessuno. Insomma se metti su una rappresentazione con dei pupazzi, appena il puparo se ne va, anche i pupazzi crollano al suolo privi di vita.

Per quel che concerne la sua esperienza personale maturata nel campo dell’alta formazione tecnico-scientifica nel settore dell’ordinamento giudiziario e processuale, che impatto ritiene abbia avuto l’intervento italiano?

Non sa quante volte in questi giorni mi sono domandato a che cosa sia servito il lavoro che abbiamo fatto e se ne resterà o ne sia restato un segno tangibile. Quando fai formazione in campo giuridico non edifichi palazzi o strade che puoi toccare con mano, che possono deteriorarsi o essere ben manutenute. Stai cercando di fornire strumenti per arricchire la conoscenza dei singoli, instillare dubbi, di stimolare la curiosità, insomma di porre le basi per una crescita culturale, in definitiva di cambiare la mentalità in un contesto sostanzialmente ostile. Queste cose richiedono anni e cambi generazionali, un sistema integrato di formazione che parta dalle scuole di base fino all’università. So solo che ci ho messo molto entusiasmo e sincero impegno questo mi consente di dire che almeno noi facemmo il lavoro che ci fu affidato con la massima serietà. Ricordo ancora il gruppo di 15 formatori afghani che avevamo creato e che collaboravano con noi. Mi sembravano una avanguardia destinata ad incidere comunque sul futuro del sistema giudiziario del Paese, o almeno così ho voluto credere. Cosa ne sia rimasto é impossibile per me da dire, ma sicuramente ora verrà spazzato via dal nuovo regime, che per quanto possa dirsi migliore di quello di 20 anni fa, resta oscurantista.

L’Afghanistan era venti anni fa, e continua a rimanere oggi, uno dei Paesi con l’economia legale diffusa più debole ed un’economia irregolare legata alle sterminate produzioni di oppiacei assai florida e ristretta nelle mani di pochi: perché l’azione internazionale non è riuscita a irrobustire la prima e disarticolare la seconda?

Cosa si sarebbe potuto fare meglio? sicuramente cercare di sviluppare autentiche dinamiche democratiche   basate sulla partecipazione alla vita pubblica non manipolate dall’alto. Ma la vera domanda é (ma d’altronde è quella che ci facciamo da sempre): la democrazia che pretendiamo di instaurare può attecchire in contesti non maturi, segnati da conflitti etnici e tribali e devastati dai traffici illegali e dalla corruzione?

Il ruolo delle ONG e della cooperazione internazionale in questi ultimi venti anni è sembrato di primaria importanza: ci sono margini, a suo avviso, perché queste esperienze abbiano ancora seguito?

Ho purtroppo anche incontrato molti responsabili internazionali totalmente privi di alcuna speranza di cambiamento e devoti solo al loro stipendio, burocrati impettiti completamente disinteressati, ONG più attente al bilancio e agli overhead  (ciò che si ricava ai progetti e che resta al HQ) che ai beneficiari. Ma ho anche conosciuto rappresentanti di ONG ed istituzioni internazionali straordinariamente motivati e appassionati al loro lavoro.

L’iniziale “promessa”  dei talebani, tornati al potere, di aprire una  nuova fase all’insegna – tra l’altro –  del riconoscimento dei diritti delle donne (anche se, hanno specificato, “all’interno della Sharia”), della libertà di stampa, del perdono per chi ha collaborato con la coalizione internazionale, sembra già naufragata…

…Ma cosa vuol dire “riconoscere i diritti delle donne all’interno della Sharia”? Quale Sharia? Secondo quale interpretazione? Si tratta solo di parole vuote a beneficio di noi occidentali. Purtroppo si capirà chi sono questi nuovi talebani solo rimanendo attenti osservatori delle loro azioni (sempre che vi sia in futuro lo stesso interesse).  

Cosa può utilmente fare la comunità internazionale per gestire questa fase così complessa e delicata?

L’unica cosa che in questa situazione aleggia in maniera sinistra sono gli accordi di Doha dello scorso febbraio. Talebani e Americani si sono parlati e si sono detti d’accordo sul ritiro americano e sugli assetti del Paese. E poi ne é seguito questo fragoroso collasso del Governo Afghano. Quanto era previsto negli accordi e quanto di quegli accordi é stato violato? Sarebbe interessante capirlo.

 

 

 

Condividi: