Dietro le quinte di un successo: Articoli e foto per raccontare di quelle vittorie che erano state costruite con tanta fatica, passione e impegno nella palestra di Avola del papà
Quel pizzico di siracusanità che c’è nello splendido oro olimpico conquistato da Luigi Busà da Avola nel karate specialità kumite ha, naturalmente, inorgoglito tutti dalle nostre parti. D’altra parte, si sa, la vittoria ha sempre un numero indefinito di padri e di madri così come la sconfitta sembra sia desolatamente orfana…
Ma questo successo a cinque cerchi – posso solo immaginare cosa voglia dire per chi materialmente ha sudato per conquistarlo, considerato che un po’ tutti noi, che non capiamo un’acca della specifica disciplina, dopo aver visto la finale in tv ci sentiamo stanchi e con l’adrenalina a mille – in me ha fatto scoccare anche un’altra scintilla. E con questa qualche considerazione (critica) sulla non sempre adeguata lucidità con la quale il sistema dell’informazione nel suo complesso affronta i propri impegni quotidiani.
Diciamo che questa breve storia che vado a sciorinare risale ad una decina di anni fa e potrebbe avere come titolo “Io, Mara e Luigi”. I tre protagonisti sono un giornalista che giorno dopo giorno prova a confezionare delle pagine di cronaca per le quali l’indomani valga la pena che un lettore investa poco più di un euro nell’acquisto (io); una giornalista corrispondente dalla provincia (Mara); un atleta di talento, con tanti importanti successi all’attivo e una ben marcata prospettiva di crescita a livello internazionale per uno sport che però è considerato minore e come tale fatica a trovare adeguato spazio nelle cronache sportive (Luigi).

Lorena Busà
Manco a dirlo è una storia assolutamente vera e si intreccia con il cammino agonistico di Luigi Busà, esponente per altro di una famiglia di sportivi di lungo corso (vado a memoria, ricordo anche la sorella Lorena, pure lei karateca di successo). In quel periodo per diversi mesi, con assoluta regolarità, nel periodo clou della stagione agonistica, da Avola, Mara Di Stefano – attenta e scrupolosa giornalista – tra fatti di cronaca e resoconti dei consigli comunali inviava delle corrispondenze nelle quali i successi di Busà brother & sister quasi si accavallavano l’uno sull’altro. Ed erano successi conquisati in occasione di memorial nazionali, criterium internazionali, campionati tricolori, europei, mondiali. Articoli e foto per raccontare di quelle vittorie che erano state costruite con tanta fatica, passione e impegno nella palestra di Avola del papà. Vittorie che apparivano tanto simili le une alle altre e verso le quali ci si poneva, tuttavia, (oggi dico) con incomprensibile distacco. Così accadeva che questi servizi venivano segnalati alle pagine sportive da dove però, molto spesso, tornavano indietro dopo un po’ di tempo, con motivazioni diverse ma sostanzialmente riconducibili a due macrocategorie: mancanza di spazio e la catalogazione del karate tra le discipline sportive “minori”.
Così poteva capitare che sui piatti di questa bilancia… “sbilanciata” un titolo europeo di karate (ma valeva in genere per tutte le arti marziali e pure per qualche altra disciplina sportiva) pesasse, in termini di ipotetico interesse generale dei lettori, assai meno di una stracittadina di calcio, magari di categoria giovanile (apro e chiudo subito una parentesi: potrebbe aver influito anche questo tipo di “lettura” della quotidianità fatta da noi addetti ai lavori nel processo di progressivo distacco tra giornali e lettori?).
Morale della favola, ritagliando un po’ di spazio qui e là quelle notizie, magari a distanza di qualche giorno, finivano nella parte bassa (il piede) delle pagine di cronaca locale assieme a piccoli episodi di criminalità, prese di posizione sui più disparati argomenti quando non il “tamburino” con farmacie di turno e numeri di pubblica utilità. Dunque un evento sportivo di indubbia rilevanza condannato ad una visibilità assai modesta. Ma tant’è: io, in qualche modo, avevo fatto il mio; Mara non aveva visto vanificato il suo lavoro; Luigi aveva un ulteriore (piccolo) ritaglio da aggiungere ad una rassegna stampa sempre più voluminosa.
Il dato che oggi – a maggior ragione oggi, dopo aver sentito risuonare in tv le note dell’inno di Mameli mentre il tricolore saliva sul pennone più alto e Luigi Busà mostrava orgogliosamente la luccicante medaglia d’oro che, causa normativa anticovid, ogni atleta si è dovuto mettere da solo al collo – mi fa ancora di più riflettere è che, in quel momento, trovavo “naturale” che le cose filassero in quel modo. Di giustificazioni ne potremmo trovare tantissime: da “è sempre andata così” a “cosa vuoi, con il delirio che c’è ogni giorno in redazione!”. Ma servirebbe davvero a ben poco. Se non si riesce a superare questa sorta di miopia che non ci fa mettere a fuoco nella dovuta maniera quel che abbiamo davanti agli occhi di strada ne faremo sempre meno. E, parallelamente, aumenteranno anche le occasioni mancate per raccontare i fatti con la giusta e dovuta evidenza, senza inutili esaltazioni né altrettanto dannose sottovalutazioni. Oggi, da Tokyo, da questa Olimpiade strana ma straordinaria per i colori azzurri, ce lo ricorda anche Luigi Busà dal gradino più alto del podio. E per una volta almeno, il suo “grido” non sarà relegato in fondo alla pagina.
(*) Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…).