Gianfranco come Donald Trump. E prima di Gianfranco, giusto per restare nel piccolo recinto dei miei contatti personali, era stato Marco. Considerato che né Gianfranco né Marco hanno avuto (almeno sin qui) la ventura di guidare gli Stati Uniti e che i loro rispettivi patrimoni personali (non sono un agente del fisco ma metto tranquillamente la mano sul fuoco che le cose stanno come le sto descrivendo)  non si avvicinano, nella più rosea delle previsioni, nemmeno lontanamente alla consistenza delle fortune – anche se alterne –  del tycoon a stelle strisce, in cosa consiste questa assonanza con Trump? Basta fare un giro nella piazza virtuale dei social e lo si scopre: nei mesi scorsi Marco, appena ieri Gianfranco, sono stati bloccati da Facebook per la qualità  di alcuni commenti postati giudicati inappropriati e tali comunque da violare lo standard della community. Per Marco erano state le posizioni dubbiose espresse in relazione alla pandemia che si erano concretizzate, tra l’altro, nel ri-postare alcuni contenuti già in rete, per il secondo i recenti drammatici eventi legati all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. Un post, quest’ultimo, dal linguaggio diretto, senza esitazioni, privo di qualsivoglia indulgenza (esattamente come è nel suo modo di vedere, di pensare, di agire e per verificare questo basterebbe seguirne per un po’ il profilo…) nel quale, tra l’altro, piomba anche un augurio rivolto al numero uno del Cremlino a prendere congedo (solo metaforicamente?) anche dagli affanni della vita terrena. Quella stessa vita terrena, per intenderci, dalla quale con la sua scelta di invadere con i carrarmati l’Ucraina ha già obbligato a prendere congedo centinaia di donne, bambini e uomini “colpevoli” di essersi trovati nel posto sbagliato (anzi no, erano a casa loro) nel momento sbagliato.

Blocchi temporanei, quelli decisi nei confronti di Marco e Gianfranco, certamente diversi nel peso da quelli a suo tempo imposti a Trump, esiliato per due anni da Facebook. Dopo 24 mesi, scattati all’inizio dell’estate scorsa, gli esperti della galassia Zuckerberg si pronunceranno sulla possibilità di riammettere o meno l’ex capo della Casa Bianca.

Ed ecco subito che sotto i nostri occhi si materializza il nodo della questione – e qui non è più una vicenda che riguarda Gianfranco, Marco o Donald – in tutta la sua macroscopica evidenza: sino a che punto può ritenersi condivisibile che, di fatto, si accetti di lasciare il potere  di mantenere o togliere la parola (che, non dimentichiamolo, è la materializzazione del pensiero)  esclusivamente in capo a un colosso economico, presente ovunque nel mondo, con un fatturato di gruppo che, per consistenza, mette assieme una quantità di denaro che fa impallidire i bilanci anche di alcuni Stati? In soldoni (e qui non è solo un modo di dire): è legittimo che un così smisurato potere economico scelga autonomamente cosa lasciare dire o non dire? Questione non da poco nella quale i risvolti squisitamente etici non sono per nulla marginali.

Si obietterà: trovandoci a casa d’altri (in questo caso il gestore della piattaforma) è lui che detta le regole e le condizioni d’uso. Il paragrafo “sicurezza” dello standard della community di Facebook recita che “Per noi è importante che Facebook sia un luogo sicuro. Rimuoviamo i contenuti che potrebbero contribuire a un rischio di violenza per la sicurezza fisica delle persone. I contenuti che minacciano le persone possono intimidire, escludere o limitare il diritto di espressione altrui, pertanto non sono consentiti su Facebook”.

Ma una simile gestione, inevitabilmente affidata agli algoritmi, ha mostrato e mostra ancora degli evidenti limiti. Basti pensare ai casi in cui anche citazioni testuali da libri hanno fatto incappare chi le ha postate negli strali regolatori (se non vogliamo dire censori) della piattaforma. Per carità, il fatto che le parole siano pietre – come ha insegnato Carlo Levi –, che siano materiale da maneggiare con estrema cautela, non vi è dubbio.  Ma le parole per manifestare appieno un pensiero – è a questo che servono – hanno necessità di stare le une accanto alle altre, hanno necessità di essere viste e sentite  nel loro assieme, spesso mettendole in relazione con quella sterminata serie di atti, gesti e movimenti che riempiono gli spazi tra una parola e l’altra divenendo, a loro volta, parole espresse con una forma e un linguaggio differente. Ecco per quale motivo, nella stragrande maggioranza dei casi, dubito fortemente che da solo un algoritmo – per quanto sofisticato, ben “addestrato”  e capace di “crescere” nella sua umanizzazione che procede apprendendo comportamenti dalla vita reale – possa essere capace di svolgere al meglio il ruolo di guardiano dell’ortodossia del linguaggio (anche solo formale) sulla piattaforma.

Il rischio, tutt’altro che remoto, è che  passo dopo passo si possa scivolare lungo il pendio del pensiero unico, dell’appiattimento del dibattito, dell’inaridimento del confronto. E se tutto questo lo riportiamo al fatto che, di fatto, la scelta di cosa sia consentito dire viene rimesso a un gigante del mercato finanziario, ecco che il timore che prevalgano le ragioni del portafogli su quelle del libero pensiero non appare proprio campato in aria.

Possibili soluzioni? Ne accenno due, in chiusura di questa mia riflessione. La prima è che – sia pur con una necessaria gradazione in relazione all’effettivo peso  delle singole questioni – dietro ogni decisione di blocco (anche temporaneo) vi sia un effettivo coinvolgimento dell’uomo, vi sia la possibilità per l’autore del post sotto esame di fornire utili indicazioni e chiarimenti prima (e non dopo) che scatti l’eventuale blocco. Il secondo è la così detta soluzione Trump che, da poche settimane, è presente in rete (al momento solo negli USA) con la “sua” nuova piattaforma che ha ribattezzato Truth (verità, ovviamente la “sua” verità). Certo questa soluzione mi sembra che garantisca al suo proprietario una libertà di parola tendenzialmente smisurata ma, al tempo stesso, ritengo che sia un bel po’ più onerosa, economicamente, di aprire un profilo su Fb. E non sono proprio sicuro che Gianfranco o Marco vorranno fare questo investimento…

[*] Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…)

  • Nella immagine in evidenza  Granfranco Damico e Putin.
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