Da qualche domenica abbiamo superato la Domenica delle palme e dei ramoscelli di ulivo. E’ stato l’inizio per ogni comunità ecclesiale, la ripresa di una certa “normalità” con la possibilità di poter svolgere processioni / pellegrinaggi per le vie cittadine. Il Governo per la sua parte e la Conferenza Episcopale Italiana dall’altra hanno espresso parere favorevole, consentendo le pubbliche processioni dopo due anni di limitazioni causate dalla pandemia della Sars Cov2 Covid-19. Proprio per la virulenza nella diffusione e per gli effetti nefasti, nelle prima fase, il Governo, su basi scientifiche, aveva decretato di mettere limitazioni allo stile di vita di ogni singolo cittadino, vietando pure le possibili manifestazioni pubbliche e religiose con concorso di popolo. Con questa “apertura” ogni singolo fedele ha quasi compiuto gesti apotropaici liberatori, o li farà nei giorni a venire nel corso della processione, se non addirittura acclamare al divino. Questo per dire come la percezione comune fosse stato un capriccio della Chiesa e di chi la rappresenta e avesse voluto fare un torto a suoi fedeli.

Calpestare le strade, indossare gli abiti tipici devozionali, sentire suonare la banda cittadina e cantare durante il percorso, percepire gli odori e ritrovare parenti e amici in determinati luoghi… è  stata la realizzazione di un desiderio profondo, quasi un “sogno mancato” di ogni singolo fedele o, devoto di confraternita o altra associazione laicale che nei due anni anni precedenti era stato impedito. Sottolineo: causa emergenza sanitaria.

Nelle settimane precedenti la Domenica delle palme l’altalena dei contagi, valutando i criteri  scientifici con l’indice di valutazione RT, i ricoveri, i decessi…, in diminuzione ed il desiderio di un ritorno alla “normalità” ed una buona dose di coraggio hanno fatto si che il Governo potesse decretare la fine della emergenza sanitaria e, ai Vescovi italiani, valutare con le dovute precauzioni la ripresa delle processioni.

Alcuni Vescovi, valutata la situazione del proprio territorio ecclesiastico, hanno invece ritenuto opportuno limitare… In questo contesto si sono alzati gli scudi dei “devoti” tra i favorevoli e i contrari mettendo in campo tutto lo scibile umano nel valutare le opzioni e le contraddizioni tra l’apertura di attività “civili”, i cinema, gli stadi al cento per cento e il divieto a non poter fare una processione. Per alcuni fedeli o porzioni di essi, le processioni sono così essenziali perché il “rito / processione, rinnova ed esprime una certa catarsi” come rituale ripetitivo psicologico e apotropaico e, non sempre per fede, mancando il gesto nasce il timore che se questa ritualità si dovesse ancora rimandare…. “la tradizione certamente andrebbe perduta” e o non avrebbe il suo effetto sperato.

Soprattuto sui social i leoni da tastiera hanno dato il meglio ed il peggio di sé, anche nei crocicchi delle strade e delle piazze si sono costituiti gruppi di favorevoli e di contrari, dei complottisti che in vario modo hanno ribadito la perdita delle tradizioni, alcuni esagerando adducendo che era necessario riprendere per “recuperare” quanto non eseguito nei due anni precedenti.

Leggendo i comunicati dei vari Vescovi e i vari articoli dei giornali a corredo di quanto dichiarato, le decisioni non sono mai state prese in autonomia, ma sentiti il presbiterio, i gruppi dei laici aderenti alla confraternita o associazione di fedeli…

In tutta questa pandemia dobbiamo dire che l’assenza di una certa ritualità ci ha messo in crisi. Per quando riguarda la fede, non so e non ho strumenti adatti per dire se è migliorata o si è ulteriormente sclerotizzata. Non abbiamo memoria viva, se non dai libri di storia della pandemia della spagnola nel secolo scorso 1918-20, degli “esperimenti positivi” in base alle conoscenze mediche del tempo e, degli errori e dei tanti morti della grande guerra. Dall’altro, dobbiamo affermare che siamo animali abitudinari e, questo virus ci ha messo in crisi. Abbiamo avuto bisogno di “inventare” dei gesti necessari: il saluto con il gomito o con l’appoggiare l’esterno del pugno, starnutire all’interno del gomito… usare il gel per le mani e le mascherine: chirurgiche, ffp2 ed anche 3…

Forse questo tempo ci potrebbe ancora dar modo di ripensare certe “abitudini, sane”.

Se brevemente volessimo rileggere il significato del termine “tradizioni”, queste sono la “somma” della nostra storia, di un vissuto, di una identità collettiva, di un percorso che è espressione e ne racconta la fede per le generazioni future. Poi ci sono le derive… le esagerazioni per processioni “solenni e sfarzose”, o quelle in cui, soprattutto nel passato, i nobili con certe promesse in denaro e donazioni… condizionavano il percorso da far fare sotto i loro palazzi, anziché qualche altra strada meno “visibile”, poi gli eccessi… gli inchini degli “accoliti” col santo sulle spalle, per compiacere il boss della zona.

Aggiungo pure negli anni scorsi in alcune provincie e, regioni italiane… le amministrazioni  pubbliche hanno promosso le “processioni” del proprio territorio come attrazione turistica e folkloristica, sorvolando sulla espressione di “fede” che è “componente” essenziale di quei gesti e di quella ritualità, qualunque sia la processione/pellegrinaggio: i riti della Settimana Santa, la processione del Patrono e o di qualunque altro Santo e Madonna.

In tutto questo ci sono pure i fantasiosi paladini di certe categorie commerciali (rispetto e apprezzo le tante attività commerciali che faticano con orgoglio e dignità imprenditoriale) che nottetempo affiggono “manifesti funebri” contro le decisioni del Vescovo (è accaduto nelle settimane scorse a Nocera Inferiore, perché il vescovo per prudenza, visto l’aumento dei contagi, aveva ritenuto opportuno limitarsi nelle manifestazioni religiose, in attesa di tempi migliori). Il disappunto di alcune categorie commerciali che dichiarano: “con un decreto inutile ha ucciso e oltraggiato le nostre feste patronali”.

Anche in Sicilia si è arrivati alle minacce con un out-out al Vescovo di Pizza Armerina, mons. Rosario Gisana, “…o la processione si fa come diciamo noi o non si fa…”, poiché non d’accordo con le decisioni prudenziali, che comunque garantivano la processione con alcuni adattamenti. E’ purtroppo una nota squalificante e non so quanto si possa parlare di fede o di umana irrazionalità.

Sembra quasi che il termine “prudenza” (dopo la dichiarazione delle fine dello stato di emergenza sanitaria, il Presidente della Repubblica lo ha ricordato più volte, il Ministro alla sanità pure, il Papa e i Vescovi italiani in tante altre occasioni) non sia contemplato per buona parte di alcuni “credenti” che si battono il petto, presenti solo per alcune “manifestazioni” religiose.

L’obiezione ricorrente è che sono riprese la manifestazioni pubbliche, le presenza al cento per cento allo stadio.. .ecc. Sommessamente si dice pure e si ammette che “il familiare, l’amico, il collega di lavoro… è positivo, non riusciamo a capire dove e quando si è contagiato, siamo circondati da positivi al covid” (purtroppo non nei pensieri e nelle scelte). Ormai con il tampone “fai da te” ci si può auto diagnosticare l’eventuale positività/ negatività. Solo se non convinti del proprio test “fai da te”, come se fosse una questione di convinzione, si ricorre alla struttura sanitaria o farmacia/laboratorio.

Pur essendo accaduto qualche mese fa – dicembre 2021 in prossimità del Natale – ci siamo dimenticati delle file chilometriche, presso le Asl, per eseguire il tampone – gratuito – o a pagamento presso i laboratori di analisi cliniche e le farmacie con attese lunghe fino a quasi otto ore e, ottenuto il responso, andarsi a rinchiudere in casa, perché positivo o, sentirsi libero, se negativo, di ritornare a giocare a carte con parenti e amici.

Se questa esperienza, condizionata dalla pandemia del Covid-19, è andata a finire nel dimenticatoio e non ci ha lasciato un segno, siamo corti di memoria, destinati a ripetere gli stessi errori e a non voler imparare. E’ necessario riprendere le relazioni, le attività e le varie processioni, ma con prudenza e attenzione da parte di tutti.

La fede è fiducia in Dio, incontro con lui nella celebrazione dei sacramenti e nella preghiera personale in Chiesa come pure a casa… e l’impegno della Chiesa e dei tanti sacerdoti c’è stato, anche nell’assistere gli ammalati di covid. Diversi hanno dimenticato che superata la prima fase della pandemia, dove tutto era stato chiuso, il protocollo formulato dal CTS consentiva – per i defunti, sia che fossero morti per il covid o per altre patologie, il rito della preghiera di suffragio si poteva svolgere esclusivamente all’esterno della Chiesa, mantenendo il distanziamento, la mascherina e pure i guanti con solo quindici familiari, più gli operatori delle pompe funebri ed il sacerdote. Per evitare assembramenti c’è stato un moltiplicarsi di preghiere e celebrazioni on line sui social e le diverse piattaforme digitali, parecchi hanno apprezzato al mattino presto in TV la messa del Papa. Infine la graduale apertura con un certo numero di fedeli in base alla capienza dell’aula liturgica, mantenendo il distanziamento, il gel per le mani all’ingresso, la mascherina, il sacerdote doveva indossare i guanti monouso per la distribuzione della Eucarestia, e a fine celebrazione procedere alla sanificazione dei banchi. Cambiando le condizioni il precedente protocollo viene aggiornato, viene data possibilità anche per le attività educative dei ragazzi usando gli spazi all’esterno della Chiesa o le piazze comunque all’aperto… al fine di offrire ai ragazzi momenti di incontro, di crescita, di socializzazione ed una certa rielaborazione del troppo tempo trascorso chiusi in casa davanti un dispositivo elettronico: la scuola per la DAD, alcuni anche per il catechismo, altri educatori anche per non interrompere le attività educative associative di oratorio.

I soliti riottosi o forse, i soliti bigotti – dimentichi dei tanti morti a causa del covid in ogni parte del mondo – comunque dovevano gridare alla sudditanza della Chiesa Cattolica allo Stato, per non aver saputo fare la voce grossa…. per l’uso di questi protocolli, come se si dovesse barattare una merce. Qui il problema era ed è sanitario, di un virus conosciuto solo in parte, che se contagiati durante il decorso della malattia e, si superano gli effetti collaterali, all’avvenuta guarigione comunque non ci si immunizza a vita, come per altri virus, ma occorrerà una periodica dose di vaccino – vedi la nuova campagna vaccinale per i fragili e gli ultra ottantenni.

A fine di questa mia riflessione sono consapevole che certamente dobbiamo riprendere la nostra vita, le varie attività e i momenti celebrativi tradizionali della nostra fede, ricostruire la quotidianità post-Covid. Tutto questo ha ancora bisogno di attenzione e responsabilità, perché non possiamo abbassare la guardia, occorre prudenza e il rispetto delle regole essenziali che saranno pane quotidiano per un altro po’ del nostro tempo, così evitare, per quanto possibile, la diffusione del virus.

Non possiamo giustificare gli esagitati, i detentori di tradizioni, chi non vuole dialogare – o lo fa di facciata per poi organizzarsi con i suoi accoliti per intraprendere azioni vili e ingiustificabili -. Se parliamo di Fede e di ciò che ci fa esprimere la Fede, con le tradizioni, queste in qualunque caso, vanno sempre svolte alla luce del sole e nella piena responsabilità di tutti, ciascuno per la sua parte, senza infingimenti o accordi parata.

Chiudo ricopiando l’apostolo Paolo che ebbe a dire alla comunità di Corinto: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo” (cfr 1 Cor 1, 17).  Questo per dire che la sapienza di Dio si manifesta attraverso la Sua Parola, che è la sapienza dell’amore, la sapienza della realizzazione dell’uomo e l’altra invece la sapienza del mondo che è la sapienza dell’egoismo che alla fine è la sapienza della distruzione di tutti.

  • Credito immagine in evidenza dalla rete.
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