Nella settimana del 25 aprile un film manifesto del cinema italiano conosciuto in tutto il mondo

Titolo della settimana. La grande guerra, 1959 di Mario Monicelli.

La grande guerra ha messo insieme gli italiani, hanno scoperto di essere insieme su una penisola, di essere quello che sono. Prima nascevano e lavoravano: erano dei bruti. Messi per quattro anni in una buca, un fosso, hanno cominciato a rendersi conto che vi erano altri loro, che erano italiani“, così il maestro Monicelli in una famosa intervista a proposito della prima guerra mondiale.

La grande guerra arriva un anno dopo I soliti ignoti, Mario per la prima volta si cimenta con la storia, riadattando Maupassant de I due amici, ambientandolo tra le alpi del primo conflitto, assieme ad Age, Scarpelli e Vincenzoni. Quest’ultimo rifarà l’esperimento in chiave western nel1966 con Il buono il brutto il cattivo di Sergio Leone, inizia un immane recupero di materiale e libri sull’argomento; come consuetudine la critica, stavolta addirittura in anticipo, si scaglia contro il film, sconsigliando caldamente Monicelli di non scherzare su certi argomenti sacri: Monicelli, lui scuola Germi, risponde picche e tira avanti per la sua strada, risultato, la pellicola, presentata a Venezia, vince aex equo il Leone d’oro con Il generale Della Rovere di Rossellini. Si ride, si piange, ci si commuove, un momento in cui Veneti, romani, napoletani, siciliani, si scoprono italiani e i vari dialetti ne sottolineano l’unione. Già con I soliti ignoti la commedia aveva esplorato la parte drammatica, ma è con La grande guerra che si raggiunge l’apice, il punto di non ritorno, anticipando di decenni Apocalypse now e Full metal jacket nel denunciare l’assurdità e la follia delle guerre, come aveva fatto Kubrick con Orizzonti di gloria due anni prima. E chi meglio di Sordi e Gassman ne potevano interpretare le maschere? Monicelli dovette lottare per convincere De Laurentiis, che riteneva i due poco adatti, lo stesso produttore avrebbe voluto un finale più gioioso e meno drammatico, ma Marione fu irremovibile. Così nascono i capolavori.

Dopo aver tentato, invano di imboscarsi, Oreste Iacovacci, romano scansafatiche e Giovanni Busacca Milanese ingenuo, finiscono al fronte; due antieroi che sapranno morire da eroi di fronte al disprezzo degli austriaci: “non voglio morire sono un vigliacco”, scolpito nella storia del nostro cinema. Straordinario l’utilizzo del cinemascope e della profondità di campo, che rende le scene più drammatiche e reali, grazie anche al lavoro del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, musiche di Nino Rota, ai costumi Danilo Donati, scenografia Dario Garbuglia. Attorno ai due protagonisti un parco attori di rilievo, Silvana Mangano, Folco Lulli, Bernard Blier, Tiberio Murgia e Romolo Valli.

Monicelli con questo monumento al cinema dissacra miti fino ad allora tabù per l’Italia, tanto da sfiorare un’interrogazione parlamentare, se esistono pellicole da proiettare nelle scuole per far conoscere la nostra storia, ma cosa aspettano? La grande guerra è tra gli imprescindibili, non solo in Italia ma nel mondo. Buona visione

Condividi: