Nei giorni scorsi è stata approvata la legge sull’autonomia differenziata.

Si parla già di una raccolta di firme per promuovere un referendum abrogativo ma in molti non conoscono ancora gli esatti termini delle questioni in gioco, davvero cruciali per il futuro anche della nostra Sicilia.

È molto apprezzabile che l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro abbia chiesto al Laboratorio socio-politico della Conferenza episcopale siciliana di presentare  una riflessione sui possibili scenari futuri a livello sociale. Il testo elaborato è ricco di spunti di riflessione assai stimolanti e dovrebbe, a mio modesto avviso, costituire occasione di confronto e di dibattito non solo in ambito ecclesiale ma in tutti i contesti in cui si hanno a cuore le prospettive della nostra regione nei prossimi decenni.

Il primo quesito a cui rispondere è se ci troviamo di fronte ad un progetto di Autonomia divisiva o solidale. Il campo della devoluzione si estende infatti a ben ventitré materie e riguarda, come sottolinea il documento del Laboratorio,  sia le materie di legislazione concorrente (dall’istruzione all’alimentazione, dalle grandi reti di trasporto all’ordinamento sportivo, dalla salute al lavoro) – nelle quali, peraltro, allo Stato non spetta che la determinazione dei princìpi fondamentali – ma anche  le materie di competenza esclusiva dello Stato, toccando perfino le norme generali sull’istruzione e la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. E la valutazione del Laboratorio socio-politico della Cesi è netta: “ciò costituisce un irrazionale campo largo”.

D’altro lato si  rimanda la decisione sulle modalità di finanziamento degli stessi Lep e non si tiene conto della necessità di prevedere adeguati meccanismi perequativi per impedire l’aumento delle disuguaglianze e dei divari territoriali. I LEP(*) misurano il grado di democraticità di una nazione: lo stato è più democratico quanto meno persone lascia indietro

Ed ancora, il Laboratorio precisa che “di per sé, l’autonomia differenziata non è uno schiaffo, una infedeltà allo spirito della Costituzione in quanto espressamente prevista dalla stessa, può diventarlo però – ed è questo il rischio vero – se non attuata compatibilmente con gli altri princìpi costituzionali, tra cui spicca quello supremo, perché non modificabile neppure con procedimento di revisione costituzionale, dell’unità e indivisibilità della Repubblica”.

Alla luce di ciò la determinazione dei lep avrebbe richiesto a monte una valutazione complessiva di quelli che il Paese è effettivamente in grado di finanziare complessivamente e non una stima successiva materia per materia, perché ci si troverebbe alla fine nella condizione di non potere finanziare i lep necessari ad assicurare l’esercizio dei diritti civili e sociali.

“Il pericolo –  secondo il Laboratorio socio-politico – è di attuare una riforma che, come avrebbe detto don Milani, fa parti uguali tra diseguali. Riteniamo che non di questa legge ha bisogno il nostro Paese, ma di interventi strutturali stabili ed efficaci per assicurare a tutti, a cominciare dalle fasce deboli e impoverite, che cerchino di arginare la povertà assoluta e per rinforzare il sistema sanitario nazionale che si prenda cura rapidamente e costantemente di chi soffre”.

Inoltre, i contenuti e gli ambiti dei LEP (riguardanti 14 materie fra le 23 previste dall’art. 116 Cost.) non sono stati ancora definiti. Il Governo entro 24 mesi dovrà adottare decreti legislativi per determinare i Livelli essenziali delle prestazioni inerenti, in gran parte, servizi sociali e diritti civili.

Poiché la legge si chiude affermando che la stessa non comporta oneri a carico dello Stato. non si comprende – conclude il Laboratorio –  come possano essere superati i divari territoriali, alcuni storici, fra Nord e Meridione d’Italia con riguardo proprio ai diversificati livelli di prestazione dei servizi. E ciò vale per le Regioni a statuto ordinario. Non sono previste, inoltre, condizioni per l’accesso all’autonomia differenziata materia per materia. Esse possono chiedere la devoluzione di tutte le 23 materie senza giustificarlo con bisogni specifici del territorio, diversi da quelli generali a causa di condizioni territoriali, sociali, economiche, demografiche, né con gli obiettivi che intendono raggiungere con il decentramento. Qui emerge un divario profondo con le cinque regioni a statuto speciale tra cui  la Regione siciliana che, ab origine, ha un autonomia speciale  la quale non è ancora stata utilizzata come avrebbero meritato i cittadini siciliani. Si auspica quindi che vengano, comunque,  fatte valere con decisione esigenze di riqualificazione della spesa e degli obiettivi di bilancio.

“Non può accettarsi  una  frammentazione della Repubblica (una e indivisibile) in staterelli , con i propri egoismi territoriali in competizione tra loro  e le caratteristiche peculiari di ciascuna regione non devono ostacolare la crescita di una comunità di persone uguali alle altre nel rispetto di un principio  fondamentale, sovraordinato anche alle norme revisionate del titolo V, che, se interpretate e attuate in modo praticamente antiunitario, non si sottrarrebbero ad un giudizio di incostituzionalità. L’unità e indivisibilità della Repubblica passa necessariamente dall’art. 2  e nei numerosi articoli che concorrono alla costruzione dello stato sociale: la solidarietà che prima dei diritti impone ad ogni singolo cittadino, comune e regione il rispetto di una soglia minima di “doveri inderogabili” che dev’essere rispettata”.

 

(*)

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (…) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale

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