Un Figlio col Cuore di Padre
Meditando sul Vangelo di questa domenica, mi viene in mente una riflessione, che condivido come breve premessa al commento di oggi.
Nelle antiche Litanie latine del Santissimo Nome di Gesù, ben due invocazioni gli attribuiscono il titolo di “padre” (pater pauperum e pater futuri saeculi). Ciò riflette, in modo impeccabilmente corretto dal punto di vista dottrinale, una teologia sulla “paternità” di Gesù che meriterebbe di essere riscoperta.
Gesù è il Figlio di Dio Padre, ma anch’Egli – in un certo senso – esercita sulla nostra povera umanità e sulla storia del mondo una funzione paterna. L’azione paterna di Cristo non compromette e non confonde la distinzione con le prerogative di Dio Padre, che è sempre in perfetta unione col Figlio e approva con piena soddisfazione tutto il suo operato, ripetendo all’infinito e per l’eternità la dolcissima espressione: «in Lui ho posto il mio compiacimento» (Matteo 3,17).
Nel Vangelo, Gesù mostra spesso una sensibilità umanamente e divinamente paterna, esprimendo in modo trasparente tutto ciò che ha imparato dal Padre.
E questo è particolarmente visibile nel brano di Vangelo della liturgia odierna. Dapprima, Egli dice ai dodici apostoli, reduci dal loro primo viaggio missionario: «“Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare». Poco dopo, «vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose».
Gesù si rivela infaticabile, premuroso, attento, irrefrenabile, come un vero papà di famiglia, che fatica giorno e notte per assicurare ai suoi tutto il necessario per vivere, sacrificando tutto il proprio tempo e tutte le proprie energie, senza pensare a se stesso e senza un attimo di pausa, rinunciando al relax o a propri interessi: la sua unica occupazione è provvedere al benessere dei figli.
Gesù è un padre che sceglie liberamente, dignitosamente e consapevolmente di dare la propria vita per i figli, semplicemente perché li ama: per amore, rinuncia a riposare, a mangiare, a dormire, a distrarsi, a svagarsi. Per amore e per passione, perché crede talmente tanto nell’importanza e nella bellezza di ciò che fa, da farlo volentieri, direi con gusto.
Sì, lascia che si riposino gli altri: è venuto per servirli, e non per essere servito, e sta in mezzo a loro come uno che serve, non che comanda.
Le folle lo assalgono ininterrottamente, supplicandolo di lenire le loro sofferenze e alleviare i pesi della loro vita. Il suo sguardo pieno di tenerezza e misericordia si traduce immediatamente in un gesto concreto di amore: «li vide e ne ebbe compassione». Gesù prova questo sentimento ogni volta che vede venirgli incontro un sofferente nel corpo o nello spirito.
E non si risparmia, non si tira indietro, non fugge, non cerca giustificazioni o espedienti per avere uno sconto su questa fatica: dà tutto se stesso per quelle «pecore senza pastore», che vede così «stanche e sfinite», nonostante possa essere stanco pure Lui.
Infine, se Gesù suggerisce ai discepoli di “venire” in un luogo presso il quale riposarsi un po’, è spontaneo chiederci dove trovare questo “luogo”, in cui magari recarci anche noi. Per rispondere a questo legittimo interrogativo, dovremmo tenere sempre presente un’altra frase simile di Gesù, da affiancare a questa: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matteo 11,28).
«Venite a me»: il “luogo”, sempre immediatamente raggiungibile, nel quale è garantito trovare vero ristoro, è sempre e soltanto Lui, Gesù.
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