Le promesse di Gesù ai discepoli

Nei versetti immediatamente precedenti quelli che ascoltiamo nella Messa di oggi, il Vangelo di Marco riporta il terzo e ultimo annuncio della propria passione, che Gesù comunica ai Dodici ormai nell’imminenza del suo ingresso a Gerusalemme.

Così come abbiamo notato nei primi due annunci, commentati il mese scorso, a queste parole così drammatiche di Gesù non fa seguito la comprensione empatica degli apostoli, né il consolante conforto degli amici, né la collaborazione attiva per far sentire al Maestro solidarietà e vicinanza.

Al contrario, i Dodici, o quantomeno alcuni di loro, reagiscono cambiando totalmente argomento di conversazione, scadendo nella frivolezza di problemi secondari e anzi controproducenti, che fanno percepire la grande distanza tra la mentalità ancora radicata nei discepoli e il pensiero di Gesù, che si trova pertanto a vivere in solitudine la consumazione delle sue ore più delicate.

Anche in questo caso, Gesù descrive chiaramente la previsione dell’arresto, della condanna, delle torture e della sua morte, alla quale pur seguirà presto la resurrezione. Ma, come sempre, ecco giungere uno spostamento di attenzione su una discussione a dir poco patetica, che invece sembra tanto urgente a due degli apostoli, proprio in previsione della fase culminante della missione di Gesù.

«Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Che cosa volete che io faccia per voi?”. Gli risposero: “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”» (Marco 10,35-40).

Gesù si prepara a immolare la propria vita al servizio di tutta l’umanità, ponendosi all’ultimo posto per risollevarla dalla miseria del peccato, Egli che pur essendo Dio è disceso sulla terra svuotando se stesso (cfr. Filippesi 2,6-7), e i discepoli si preoccupano invece di occupare posti di potere e prestigio.

Il trono che invece Gesù si appresta a occupare è il patibolo degli schiavi, che Egli trasformerà in strumento di salvezza universale: cercando di ricondurre il tono del dialogo sulle frequenze di questo grande mistero, Egli risponde a Giacomo e Giovanni parlando di un “calice” e di un “battesimo”, ambedue figure della sua passione e del loro martirio.

Gesù affronterà la passione per amore dei discepoli, a loro volta i discepoli affronteranno il martirio per amore di Gesù: il trono di gloria riservato alla destra e alla sinistra del Signore è la prova dell’amore che unisce Lui a noi e noi a Lui.

La vita cristiana non è la promessa di una carriera, ma la disponibilità a «dare la propria vita in riscatto per molti» (Marco 10,45) come ha fatto Cristo.

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