Rassegnazione e accettazione: parole con un significato analogo di primo acchito, ma profondamente diverse. Se la rassegnazione è un atteggiamento passivo, in cui si subisce la realtà con senso di impotenza e sconfitta, l’accettazione, è un atto consapevole e attivo, in cui si riconosce la realtà per trasformarla in un’opportunità di crescita o azione. Potremmo considerare la rassegnazione come una forma degenerata o “atrofica” dell’accettazione.
La rassegnazione appare la via più semplice quando una situazione sembra insormontabile perché non richiede il coraggio di confrontarsi con la realtà o il rischio di fallire. L’accettazione invece richiede coraggio e consapevolezza ed è per ovvi motivi più impegnativa della prima.
Chi sceglie l’accettazione riconosce che la vita non può sempre essere controllata, ma può essere compresa e affrontata con dignità e forza interiore. C’è chi questa scelta la compie ogni giorno dal giorno “0”. È in questa scelta che l’eroe moderno sbaraglia l’antieroe passivo.
Nel racconto di Gianfranco Damico, “cameriere, filosofo meravigliato, sociologo della relazione” e scrittore, emerge con chiarezza la differenza tra questi due atteggiamenti. La sua esperienza personale, segnata dalla scoperta di un tumore, si trasforma in un potente esempio di come l’accettazione possa diventare un motore di vita, capace di guidare il singolo attraverso l’incertezza, la paura e il dolore. A chi, di fronte a una malattia grave, si troverebbe a confrontarsi con un destino che sembra inevitabile, Damico risponde con il coraggio di “accettare” la propria condizione, per riscoprire la bellezza della vita stessa. Il suo percorso, raccontato nel libro “Quando fai la chemio le zanzare non ti pungono” ci invita a riflettere su come, pur vivendo una condizione estremamente difficile, sia possibile rimanere “vivi”.
Quando fai la chemio le zanzare non ti pungono
Il titolo del libro non è solo una curiosità: è una realtà sperimentata dall’autore e da altre persone che hanno vissuto l’esperienza della chemioterapia. Sebbene non esistano evidenze scientifiche, per Gianfranco è stato vero. Le zanzare, solitamente insopportabili, sembravano ignorarlo durante quel periodo. Forse percepivano qualcosa di “non bio”, ipotizza ironicamente. Ma quel titolo non è nato solo da un aneddoto: ha segnato un momento di svolta.
All’inizio, Gianfranco era incerto se raccontare pubblicamente la sua malattia. L’idea lo metteva a disagio: «C’è un momento in cui mi sono detto, “Ma che faccio?”» racconta. «Inizialmente pensavo di non voler parlare della mia malattia, perché avevo visto persone raccontarla su Facebook e mi sembrava che, anche se non fossi in disaccordo, fosse qualcosa che non mi rappresentava. Poi, però, mi sono reso conto che la malattia è solo una “condizione”, una parte della vita che non deve oscurare la sua bellezza». La malattia, quindi, non è una “fine”, ma una condizione che Gianfranco ha scelto di affrontare come una delle tante esperienze che la vita può riservare.
Questa scelta di non identificarsi con la malattia, di non diventare “il malato” ma piuttosto di restare sé stesso, è l’inizio di un percorso che lo porterà a vivere la sua condizione con una “leggerezza” e un’ironia sorprendenti.
Superati i dubbi, inizia a scrivere, dapprima post su Facebook, scoprendo due cose. La prima: il potere terapeutico e ispiratore delle sue parole, che ricevevano ringraziamenti sinceri da lettori toccati dalla sua leggerezza e dal suo amore per la vita. La seconda: un invito della sua editor a trasformare quei racconti in un libro.
Gianfranco era riluttante: «Non voglio scrivere un manuale su come affrontare la malattia», pensava. Ogni esperienza è unica, e non voleva sembrare un “maestrino” che impartisce lezioni. Poi ha avuto l’intuizione: il libro non doveva essere un manuale, ma una raccolta di quelle narrazioni quotidiane che già pubblicava. Senza dramma, senza melodramma. Così, rileggendo i suoi post, ha trovato la struttura del libro. Il titolo, nato da uno di quei post estivi, ironico, leggero e in grado di trasmettere un messaggio profondo è un invito a guardare oltre il dolore, a cogliere i piccoli paradossi e le bellezze inaspettate che anche una malattia può offrire.
Così, mentre si sottopone a trattamenti dolorosi come la chemio e la radioterapia, Gianfranco trova il modo di vivere “in vacanza” con sua moglie Luciana. «Io e Luciana ci siamo ritrovati “in vacanza” per tre mesi», racconta, «è vero che facevo la chemio, ma mi sembrava di essere in un altro stato mentale. Volevamo vivere il nostro tempo insieme, godere delle piccole cose, fare giri a Milano, vedere mostre, fare lunghe passeggiate. La malattia non ci ha impedito di vivere».
Il peso del Coraggio
Ciò che emerge dall’esperienza di Damico è la consapevolezza che, sebbene la malattia non possa essere evitata, il modo in cui la si affronta dipende da una scelta interiore. Gianfranco non si lascia sopraffare dal dolore, non si arrende alla sua condizione, ma sceglie di vivere la sua malattia con la stessa intensità con cui viveva la sua vita prima di essa. A chi gli chiede come abbia fatto a superare un momento così difficile, risponde con grande lucidità: «Se tu passi la vita ad aiutare gli altri, a stare sempre non in uno stato “problema” ma in uno stato “risorsa”, in qualunque situazione, devi capire quali risorse puoi mettere in atto per andare oltre quella situazione spiacevole. Questo lo faccio da una vita con gli altri, quindi l’ho fatto anche con me stesso».
“Non è il problema a definire chi siamo, ma come scegliamo di affrontarlo” il suo approccio si traduce in queste poche ma intense parole. La sua formazione come coach, unita alla sua passione per le neuroscienze, lo ha aiutato a trasformare la malattia in un’opportunità di esplorazione. «Ho studiato per anni il cervello, la neuroplasticità, il modo in cui reagiamo ai traumi», spiega. «E quando mi sono trovato a vivere la malattia, ho sentito che il mio cervello, come per magia, stava cercando di trovare un modo nuovo di vedere e vivere la realtà».
Il tumore che Gianfranco ha avuto nel lobo occipitale ha colpito la sua vista, così lo scrittore ha iniziato a osservare come il suo cervello stesse reagendo.
«C’era un periodo in cui le cose che vedevo sembravano “ballare”, ma il cervello inventava soluzioni, adattandosi, facendo ciò che era necessario per continuare a navigare nel mondo» racconta. Questo processo di “riorganizzazione” del cervello, è stato per Gianfranco un ulteriore motivo di meraviglia.
Questo aspetto del racconto si collega a un principio fondamentale delle neuroscienze: il cervello è in grado di riorganizzarsi e di adattarsi alle circostanze, anche le più estreme. Gianfranco ha scelto di vedere la sua malattia anche come una sfida per la mente, un’esperienza di “resilienza cerebrale”.
Il Viaggio: Spiritualità e Accettazione
Un altro elemento centrale che emerge dal racconto di Damico è la sua riflessione sul significato profondo della vita e della morte. Per lui, la malattia è stata anche un’occasione di risveglio spirituale. Gianfranco non ha mai smesso di parlare con entusiasmo della vita, anche quando la minaccia della morte era concreta. Nel momento in cui affronta la diagnosi di tumore, fa suo il messaggio di accettazione che gli è più congeniale: non l’accettazione passiva, ma quella consapevole e attiva che gli permette di vivere al meglio nonostante tutto.
La sua visione spirituale è radicata in una tradizione che non si fonda su un dio personalizzato, ma su una consapevolezza dell’universo come un mistero grande, dove ciascuno è parte di un gioco più vasto. Non è ateo, ma non ha bisogno di dare un nome alla divinità. «Io non parlo di Dio», dice, «ma io sento una connessione con qualcosa di più grande di me. Non so se ci sia un Dio o meno, ma sento una forza, un’energia che mi guida, che è più grande di me». In effetti, durante la sua malattia, Gianfranco ha sperimentato il potere della fede e della preghiera. Molte persone a lui care, tra cui la sua editor e il suo neurochirurgo, praticano la religione cattolica e hanno pregato per lui. «Ho sentito l’abbraccio di tante persone», racconta, «è stato qualcosa di incredibile, che mi ha dato una forza enorme».
La Resilienza Come Forza Interiore
In un mondo che tende a ignorare o a stigmatizzare la sofferenza, la storia di Gianfranco ci insegna che, anche di fronte alla minaccia di morte, si può scegliere di vivere appieno, con gratitudine e con una visione profonda del mondo. Accettare la malattia significa non solo accogliere la propria vulnerabilità, ma anche abbracciare la vita con maggiore consapevolezza, cogliendo ogni istante come un’opportunità.
Fermarsi alla difficoltà, cedere alla rassegnazione, sarebbero state le risposte più immediate e comprensibili in una situazione tanto dolorosa. Al contrario, ha scelto la via dell’accettazione attiva. Questa decisione non ha solo migliorato la qualità della sua vita durante il trattamento, ma gli ha permesso di mantenere intatta la sua capacità di contribuire al benessere degli altri, attraverso il coaching, la scrittura e la formazione.
Questo atto di resilienza non si limita a sopravvivere alla malattia, ma permette di fare della propria sofferenza una forza. Gianfranco ha affrontato ogni giorno con una convinzione che si riflette anche nelle sue parole:
«Tutta questa storia resta una cosa scocciante perché comunque è una minaccia. Io non voglio fare quello positivo ad ogni costo. Il tumore resta una minaccia e avrei preferito non averla. Però avere questa minaccia costante ti fa fare un upgrade spirituale, nell’apprezzare la vita, i momenti, tutte quelle cose che all’improvviso ti rendi conto che ti passano sotto il naso senza che neanche te ne accorgi. La bellezza dell’ombra di un albero a terra ad esempio, tutto ciò che può sembrare banale. Ecco! Da quel momento di due anni fa per me c’è stato un’esplosione di attenzione, di presenza giorno per giorno. Io al mattino apro gli occhi e sono felice perché sono vivo e la vita è incredibile.
Corriamo ogni giorno senza accorgerci di tutto quello che c’è fuori. Io da quel giorno ho avvertito un’espansione del tempo. Gli attimi sembrano ore, i giorni anni.»
La Scelta inconsapevole di Essere un Eroe
In un’epoca in cui le storie di malattia sono spesso dipinte come tragiche e ineluttabili, il racconto di Gianfranco sfida questa visione. Lui non si definisce un eroe, ma lo è nel senso più profondo del termine. L’eroismo di Gianfranco non risiede nel combattere la malattia con le armi della medicina, ma nella sua scelta quotidiana di non cedere alla malattia la sua vita.
Questa visione dell’eroe moderno è quella che lo scrittore trasmette ai suoi figli, ai suoi lettori e a tutti coloro che lo incontrano nel loro cammino. La sua testimonianza è un invito a rifiutare la passività di fronte alle difficoltà e a scegliere invece di accettare la realtà, così com’è, per trasformarla in opportunità. L’opportunità di scoprire se stessi, di amplificare la nostra capacità di amare, di essere grati anche per le più piccole cose che ci sono state donate e che quotidianamente passano in sordina perché scontate. Ricordandoci che la vita è un dono ed è sempre degna di essere vissuta.
«Questa è la via!»
(*) – Pubblicato sullo speciale tipografico di Cammino del 13 dicembre 2024