Uomini e santi è l’ultima fatica letteraria di Sebastiano Burgaretta, che è uno studioso di tradizioni popolari, ossia il frutto più recente di una pianta che ha indubbiamente radici molto profonde e che ha già dato molti frutti, costituiti da studi sistematici e coerenti, dati alle stampe in anni di laboriose ricerche.

Uomini e santi – recentemente presentato nel salone parrocchiale della chiesa madre di Sortino – è nello specifico un’opera che in prima approssimazione potremmo definire composita, cioè costituita da argomenti di varia natura, per quanto siano tutti attinenti allo studio delle tradizioni popolari; ed è lo stesso autore che ce ne riassume la genesi: si tratta infatti di dieci saggi, quattro dei quali sono inediti e gli altri sei sono stati pubblicati in circostanze diverse l’uno dall’altro e rivisitati per questa pubblicazione in volume. Gli argomenti sono appunto diversi: si va dai pani e dolci nelle tradizioni avolesi, ai cuntastorie, al culto dei santi sempre nelle tradizioni avolesi, giungendo ad allungare lo sguardo ad altri luoghi: la Grecia, la spagnola Siviglia, il Perù. Non ultimo, il saggio su due corrispondenti del Pitrè, Giuseppe Bianca e Mattia Martino.

Il titolo ci offre alcuni spunti di riflessione per immergerci nella lettura, ce ne fornisce una prima e sostanziale chiave di interpretazione. Quella tra uomini e santi si presenta all’apparenza come una dicotomia, da una parte gli uomini e dall’altra i santi, che potremmo accettare come tale se non fosse che questi due termini nella loro composizione, nel loro entrare in reciproca relazione siano per così dire “asimmetrici” ed esprimono un valore simbolico. Vedremo ora in che senso: se è vero che tutti i santi sono uomini, non tutti gli uomini sono santi; così come accade per esempio in quest’altra coppia di termini, fiori e rose: tutte le rose sono fiori, ma chiaramente, non tutti i fiori sono rose. Se quindi Sebastiano Burgaretta ha scelto questo titolo, se ha stabilito di mettere in connessione uomini e santi è perché questo loro essere in relazione allude a ciò che è altro, che è altrove. Non ci sono gli uomini da una parte e dall’altra i santi, ma siamo tutti uomini e santi, sia pure in misura varia. Uomini e santi apre a ciò che per sua natura esprime in una certa misura ambiguità, dischiudendo con uno spazio di riflessione, che nel libro evidentemente non trova né può trovare risposte, ma solo ulteriori dubbi. D’altra parte il compito di un buon libro è suscitare ulteriori valutazioni e stimolare con ciò nuove riflessioni, nuove letture.

Uomini e santi è dunque simbolo, in quanto qualsiasi elemento che suscita nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile ha per l’appunto un valore simbolico. Per fare un esempio: Le rose rosse simboleggiano l’amore; le rose bianche, l’innocenza. E così via. Come dire che le cose sono molto di più di quanto non riveli la sua apparenza. Gli uomini non sono semplicemente uomini e i santi non sono semplicemente santi. A tale proposito ci viene in soccorso la linguistica, secondo la quale uomini e santi è una endiadi, ossia una figura retorica nella quale due termini, due sostantivi vengono coordinati per esprimere con maggiore enfasi un unico concetto, arricchendone il significato. Ecco che l’autore intende con ciò alludere ad altro, che come ricordato è la funzione specifica del simbolo. Alterità che viene declinata nei diversi capitoli del libro, come avremo modo di constatare a breve.

E d’altra parte il titolo di un libro è altrettanto importante di quanto non lo sia il libro stesso e spesso impegna l’autore in accurate riflessioni, perché nella sua semplicità deve rendere conto di ciò che il lettore leggerà e lo deve sedurre. Dunque, il titolo di un libro deve avere almeno tre caratteristiche: deve essere semplice, esplicativo e seducenteUomini e santi ha in effetti queste tre caratteristiche e rivela un valore simbolico, espresso linguisticamente da una endiadi, che come ricordato è una figura retorica.

Ma addentriamoci un po’ di più nell’analisi del testo. Nel saggio Più uomini che santi nella semana Mayor di Siviglia, il lettore è invitato a riflettere esplicitamente sul significato e sulla sorte di questi contrari, uomini e santi. L’autore con estrema precisione ci racconta i dettagli di questa importante festa popolare, che si svolge a Siviglia durante la Settimana Santa, la Semana Mayor, appunto. Ci racconta di fercoli barocchi e torme di persone, la cui partecipazione alla fasta avviene in preda all’eccitazione, dovuta all’esibizione di sfarzo e potenza che la festa stessa esprime. Fiori, broccati, ricami, musica, schiamazzi e Madonne piangenti difficili persino da vedere, data la portata della partecipazione popolare e le candele che ne coprono la vista. L’autore commenta, «[…] con indotta discrezione umana, sono coperti dalla selva sapientemente ondeggiante di candele». Mentre i volti delle Madonne non si vedono, i mantelli sfarzosi sono totalmente visibili.

Il caldo e la sete opprimono gli incappucciati delle confraternite, che non possono bere, il pubblico entra ed esce dai bar a proprio piacimento e totalmente incurante del valore religioso della festa nella quale sono di fatto immersi. A Siviglia la Semana Santa è festa tout court, chiosa l’autore.

Ma c’è un epilogo avvolto in un silenzio che viene definito straniante, durante la processione del Cristo de la Montaja, l’ultima del Venerdì Santo, unica tra le sessantuno che si svolgono durante la Settimana Santa nella quale i fedeli sono veramente fedeli, non solamente pubblico: mantengono un contegno religioso, in rispettoso silenzio e autentica devozione. Sono questi, uomini e santi, nel senso che sono uomini che aspirano a essere quello che sono, aspirano a farsi santi, mentre nella maggior parte dei casi, durante il resto delle processioni, si può assistere a uomini e santi, che tuttavia hanno rinunciato a farsi santi. Almeno in quei frangenti.

Chi volesse quindi raccogliersi in silenzio a pregare, a Siviglia, durante la Settimana Santa, avrebbe due possibilità: o la processione del Cristo de la Montaja oppure in una delle tante chiese della città. C’è dunque un Mistero, con la “M” maiuscola, Dio nel tabernacolo e c’è anche un altro genere di mistero, diciamo con la “m” minuscola, quello della contrapposizione e contemporanea fusione di uomini e di santi, capaci delle più sprezzanti esibizioni di sensualità e sontuosità e al contempo del più raccolto riserbo.

Nel saggio Quando in chiesa si fa baldoria Burgaretta racconta come nell’alto medioevo, allo scopo di rendere comprensibili i riti che venivano recitati in latino, si faceva ricorso a forme di “teatralizzazione”. I fedeli erano messi così nelle condizioni di partecipare alle funzioni, esprimendo il loro gioioso punto di vista, per esempio consumando abbondante cibo rituale. A Pasqua veniva raggiunto il massimo delle manifestazioni di gioia, con danze che sconfinavano nella sensualità e nell’erotismo. D’altra parte, lo stesso re David aveva ballato di fronte all’Arca dell’alleanza. Ciò che si vorrebbe rendere plasticamente visibile in questi riti, in particolare dei riti che si consumano durante le funzioni pasquali, è come il piacere sessuale abbia un fondamento teologico. Naturalmente, tutto ciò non trova accoglimento nella chiesa colta, che pure tollerava, ma certamente nel popolo di Dio. Burgaretta cita a supporto delle sue riflessioni la teologa Maria Caterina Jacobelli e un suo studio del 1990, Il Risus paschalis e il fondamento del piacere sessuale.

Aggiungo al riguardo una mia divagazione. Esiste un’opera d’arte geniale, un capolavoro della scultura del grande artista barocco Gian Lorenzo Bernini, che qui cito come esempio colto di “erotismo sacro”: l’Estasi di santa Teresa d’Avila o come viene anche chiamata Transverberazione di santa Teresa d’Avila, realizzata tra il 1647 e il 1652 e custodita in una chiesa romana dedicata alla Madonna. Il cuore della santa viene trafitto da una lancia da parte di un angelo e il corpo è stanco e provato dall’esperienza mistica. Tutto è partecipe, anima e corpo, tra tensione mistica ed erotica. Il corpo scolpito della santa esprime verosimilmente queste due forme di esaltazione e l’artista si muove con straordinaria maestria tra questi due territori, che sono opposti e in quanto opposti si toccano.

Sebastiano Burgaretta, Uomini e Santi, Le Fate editrice, Ragusa 2024, pp. 295

Laddove il genio artistico di Bernini sublima nella sua opera d’arte due aspetti tra loro antitetici (o considerati tali) il sacro e il profano, l’estasi mistica e la passione erotica, trasfigurando il senso e la portata delle due esperienze, intrecciandole, il popolo invece semplicemente reclama la sua parte: aderisce con preponderante presenza scenica, reinterpreta il sacro nei termini umani di una gioia fisicamente incontenibile, che non esita a condurre quando può alle conseguenze più estreme. Una forma nella quale il sacro è verosimilmente ridotto ai minimi termini, ma tuttavia non del tutto annientato e la liturgia assume la forma della rappresentazione dell’umano, con il suo pesante carico di passioni e di frustrazioni, che per una volta possono essere superate, colmate.

  • Nella immagine in evidenza, da sinistra: Mario Lo Nero, Sebastiano Burgaretta, Mario Blancato, Massimiliano Magnano
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