Antonio Bello (per tutti don Tonino), ordinato vescovo nel 1982 da papa Giovanni Paolo II, resse per 11 anni la Diocesi di Molfetta, e concluse la sua esistenza terrena il 20 aprile 1993.

Quattordici anni dopo, il 27 novembre 2007, fu aperto il suo processo di beatificazione.

Trascorsi ulteriori otto anni, il 17 aprile 2015, la Congregazione per le Cause dei Santi emanò il decreto con il quale si ritennero completi e validi gli atti processuali relativi alla causa di canonizzazione del vescovo salentino.

Don Tonino Bello (Wikimedia Commons)

Il 20 aprile 2018, papa Francesco si recò ad Alessano ed a Molfetta (per la prima volta visitate da un pontefice), nel venticinquesimo della morte di mons.Tonino Bello, un vescovo assai scomodo, definito da papa Francesco «un vescovo-servo, un pastore fattosi popolo, che sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine».

Quella visita giungeva al termine di una lunga serie di visite pastorali – davvero sorprendente ed emblematica – che papa Francesco ha inteso effettuare, sin dall’inizio del suo pontificato, nei luoghi segnati dalla vita di testimoni privilegiati della Chiesa italiana dell’ultimo secolo, che il pontefice ha inteso mettere sul moggio.

A partire dall’incontro nel dicembre del 2014 con l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, in cui Bergoglio mise in rilievo l’opera del fondatore, don Oreste Benzi, «il suo cuore in costante sintonia con i poveri, contro la schiavitù del male, il suo sorriso bonario e la sua tonaca consunta».

E a seguire le visite, nel giugno 2017, a Barbiana e Bozzolo per rendere omaggio a don Lorenzo Milani e a don Primo Mazzolari, i due «sacerdoti dei confini» che non furono pienamente compresi dalla Chiesa del loro tempo, ma che per Francesco «hanno offerto un messaggio di cui oggi abbiamo tanto bisogno».

* * *

Questi gli “auguri scomodi” di don Tonino Bello, per un Natale dei primi anni ’90.

«Tanti auguri scomodi»

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi: “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’idea che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.

Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.

Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.

Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.

 

Nella foto: Marcia della pace da Trieste a Sarajevo, ottobre 1991 – Wikimedia Commons

Condividi: