I siracusani vogliono imparare da Lucia? Chi riveste ruoli apicali intende esercitare solo il suo potere o lavorare per il bene comune? Sono le domande che l’arcivescovo mons. Salvatore Pappalardo, dal balcone, nel tradizionale e atteso discorso per la festa della patrona, ha rivolto a migliaia di fedeli accorsi per l’abbraccio alla martire. Non domande dirette, ma nelle parole pronunziate dal Pastore della Chiesa siracusana è chiara la riflessione che ha voluto suscitare. L’accorrere ai piedi del simulacro significa “lasciarci coinvolgere dalla sua testimonianza di eroica vita cristiana”?. E’ giusto chiedersi se “il nostro gioioso peregrinare sia vissuto oggi, da ciascuno di noi, da tutti noi, come cammino di conversione e di preghiera”?. “Viviamo un tempo di incertezza e di smarrimento, nel quale ognuno ritiene se stesso criterio del bene e del male senza un forte riferimento ai valori morali. Viviamo un tempo in cui le persone più fragili – ha detto – sono considerate solo un fastidio e lo straniero è considerato addirittura un nemico da cui difendersi. Le nostre relazioni spesso sono improntate ad una litigiosità sterile che impedisce il dialogo ed ostacola la realizzazione del bene comune; si diffonde sempre più un atteggiamento di sfiducia che spegne sul nascere ogni speranza”.

Una Siracusa che “continua a vivere una profonda crisi morale, economica, sociale e politica” e dopo “17 secoli dal tuo martirio non abbiamo ancora imparato ad imitarti nella fede, nel servizio e nella carità”. Mons. Pappalardo ha chiesto per tutti i fedeli alla martire siracusana il “dono della fede e della pace, dell’accoglienza del povero e dell’immigrato come occasione di arricchimento in umanità; ottienici il dono della solidarietà e della dedizione responsabile verso la nostra comunità”.

Una preghiera perché le menti degli amministratori del bene comune possano aprirsi all’altro: “Suscita servitori competenti, generosi e disinteressati, pronti a spendersi per il progresso ed il bene di tutti affinché nessuno resti solo e dimenticato. Fa’ che i nostri cuori e le nostre menti si aprano a progetti lungimiranti che, trascurando il consenso immediato, aprano la strada a nuovi scenari nel campo del lavoro e del futuro dei nostri giovani”. L’arcivescovo si è fatto portavoce di una “comunità sofferente ma certo non rassegnata” e che invece deve ritrovare in se stessa “le proprie potenzialità al fine di costruire quella civiltà dell’amore, che è l’espressione più bella di ogni società rispettosa dei diritti di ogni persona umana”.

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