Arlecchino, la maschera più famosa del Carnevale italiano (e non solo!) è pronto a vivere il suo tradizionale Carnevale. Ha già tirato fuori il suo bel vestito multicolore e lo ha preparato per le sue prossime birichinate. Molti conservano il ricordo delle scuole elementari in cui si celebravano le varie mascherine della tradizione; si studiavano persino le poesie a tema, “Sono una maschera multicolore/ di professione fò il servitore (…).  Son litigioso, furbo, intrigante, ma sono il principe dei birichini!”

Oggi Arlecchino ci stupisce! Si è levato la maschera. Così un detenuto rilegge la propria esistenza. Vincenzo – detenuto nella casa di reclusione di Augusta – ha trascorso buona parte della sua vita a fare il furbo, l’intrigante, il prepotente che ascolta solamente le voci peggiori dentro di sé e che, vestito da una prolungata infanzia di audaci monellerie tra i quartieri più degradati della sua città d’origine, non si accorge che gli anni passano e da grandi le furbe birichinate cambiano nome e diventano altro. Il passo è breve. Un atto vandalico, un favore a un amico, un furto su commissione, un delitto; arresti, processi, sentenze, una vita finita. Leggere l’ultima condanna fa paura ancora oggi… In carcere il detenuto porta con sé anche la sua maschera, vuole continuare ad essere Arlecchino.

Il tempo scorre, gli anni si susseguono velocemente nei tempi lenti della vita carceraria. Vincenzo ogni giorno si percepisce più solo. Rischia di impazzire se non ha qualche impegno. La famiglia di origine non lo abbandona mai e si adopera per fornirgli qualcosa che lo aiuti a trascorrere il tempo. C’è anche un figlio, diversamente abile, che va a trovarlo. Il figlio diventa il “fermo macchina”. Vincenzo ha già iniziato a studiare e imparato a dipingere. Deve esprimersi. Riflette sull’Arlecchino che è stato. Si guarda come in uno specchio e cerca di fare il suo autoritratto. Indossa il costume di Arlecchino, siede sul pavimento ricurvo su di sé, getta la maschera e poggia il suo capo nascondendo il volto sulle ginocchia. È giunto il tempo di levarsi la maschera! Arlecchino non vuole più essere Arlecchino.

Forme e colori riescono a far elaborare a Vincenzo il suo cambiamento e a rappresentarlo. Al termine della sua opera afferma “Quello sono io!”: faticoso cammino interiore, difficile da descrivere a parole.

La bellezza di qualsiasi forma d’arte, dalla più popolare alla più aulica, dalla più anonima alla più famosa, sta nella forza di disvelare la verità dell’essere umano, quella verità che è l’uomo stesso che veste le sue maschere “come inganno intorno a ciò che di fatto non è” (P. Florenskij). Se dalla maschera passa alla vergogna l’uomo è tornato ad essere tale. Le maschere gremiscono le nostre strade, ogni tratto del nostro cammino, i nostri luoghi di lavoro e persino le nostre chiese. Dietro le maschere tutto è più semplice: le furberie, i tradimenti, le maldicenze, le cattiverie e ogni forma di violenza. Rimane solo una speranza. Dietro ogni maschera c’è una persona che rimane, nonostante tutto, immagine di Dio, immagine di un Amore creativo che rigenera. Chiede solamente una condizione: che Arlecchino si levi la maschera!

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