Quanti cambiamenti globali un piccolissimo virus!
Stiamo vivendo momenti che non ci saremmo mai aspettati di vivere. Siamo decisamente impreparati davanti a una pandemia che ci costringe a stare a casa, e ad adattarci ad una dimensione di vita nuova. Al di là di considerazioni politiche, economiche, psicologiche, mi piacerebbe, cari amici, aiutarvi a vivere con consapevolezza questo momento, a non cadere nella paura.
Innanzitutto, perché dobbiamo stare a casa? La trasmissibilità di questo virus è molto alta. È facile prenderlo e trasmetterlo insomma. Allora l’isolamento è l’arma più utile per non farlo diffondere, semplice. Una delle cose più importanti che ci sta insegnando questa pandemia è che siamo tutti profondamente interconnessi: stare a casa non è una difesa personale, è soprattutto un modo di proteggere gli altri. Alcuni negano la paura di ammalarsi facendo finta di niente, andando in giro anche con decimi di febbre perché “tanto io non la prendo”. O per paura di essere additati come “quelli infetti”. È un modo di esorcizzare la paura, in realtà. Se abbiamo dei dubbi, dobbiamo sottoporci ai controlli. Ma non per il nostro bene, prima di tutto per il bene degli altri. Anche se noi pensiamo di essere più forti del virus, la cosa non riguarda solo noi: siamo tutti profondamente interconnessi. Quindi questo piccolo virus ci mette crudamente davanti ad una verità di cui non volevamo renderci conto: non possiamo pensare di essere migliori o peggiori degli altri, il punto non siamo noi come individui, la questione è il nostro essere parte di un tutto. Se accettiamo questo, possiamo salvarci.
È un cambiamento più sconvolgente di quello che pensiamo, primo perché dobbiamo smetterla di vedere i difetti degli altri e pensare che noi sappiamo cosa si dovrebbe fare per salvare la situazione, secondo perché dobbiamo fare pratica di affidarci all’autoregolazione dei pari, dobbiamo fidarci degli altri, rilasciare la tensione che ci attanaglia quando abbiamo paura, e fidarci che l’altro sta facendo il meglio che può e che noi possiamo contribuire dando quel poco che possiamo dare. Rischiare il fallimento delle nostre convinzioni (rinunciare all’idea che sappiamo cosa si dovrebbe fare) e entrare in gioco con l’altro sapendo di non essere i migliori, accettando i suoi errori senza chiuderci in un isolamento dorato.
Ecco, questi due grandi cambiamenti ci impone questo piccolo mostriciattolo che sta sconvolgendo il mondo. Allora, se accettiamo di essere tutti nella stessa barca e di dovere fare i conti con questa barca, possiamo fare dei cambiamenti semplici.
Primo, non pensiamo di sapere come risolvere la situazione da soli. Non usciamo di casa, obbediamo ad una necessità senza pensare che ne sappiamo più degli altri, non neghiamo la paura, ma accettiamo la gravità della situazione. Come ha detto lo psichiatra Eugenio Borgna, “Non siamo più liberi di organizzare le nostre giornate, ma possiamo accogliere le restrizioni con la coscienza dello loro necessità, dando loro un senso, o invece rifiutarle, divenendone prigionieri”.
Secondo, fidiamoci della fragilità dell’altro. Comunichiamo in modo positivo: evitiamo di dire o pensare cose del tipo “lo avevo detto io che bisognava fare così…”, “le cose non funzionano ..”. Smettiamola di essere impulsivi, fidiamoci di quello che possiamo fare in modo costruttivo. Se vediamo che una cosa non funziona, chiediamoci cosa possiamo fare per farla funzionare, quale contributo possiamo dare, e non cadiamo nella paura che l’altro non è capace di proteggerci, non cadiamo nella paranoia che dobbiamo farci giustizia per la mancanza dell’altro. L’altro è nella stessa barca nostra…
Forse la cosa più angosciante che percepiamo è proprio questa perdita dell’idea di una sicurezza scontata: come l’idea di un ospedale o di un medico che sa cosa fare per curarci. Oggi sono i medici, gli infermieri e i sanitari che hanno bisogno di noi. Non sono più onnipotenti, hanno paura anche loro, hanno bisogno del nostro sostegno e della nostra considerazione. Hanno bisogno che lottiamo con e per loro. Nessuno degli umani è onnipotente davanti a questo piccolo virus: dobbiamo tutti costruire una rete di solidarietà e di fiducia in ciò che ci dicono di fare, e farlo, per tracciare un cammino di fede che trascende noi stessi, le nostre convinzioni isolate, per entrare nell’arca che ci porterà verso un futuro di cui sappiamo poco e nulla, ma che sicuramente ci aspetta.
Rubrica a cura di Margherita Spagnuolo Lobb
Scuola di Specializzazione in Psicoterapia
Istituto di Gestalt HCC Italy – Centro Clinico e di Ricerca