( Gv 20,19-31)

Ci voleva il coronavirus per accorgerci che abbiamo un cuore e viscere materne di misericordia? Accorgersi, da “adcorrigere, da corrigere = raddrizzare, correggere”. Il coronavirus un correttivo? Ancora, un rilevatore, meglio un rivelatore? In questi tempi connotati da drammi, da lutti, da paure e ansie telluriche, da confusione e smarrimenti, da disperazione … Una cosa mi è evidente: sta scoppiando il cuore. Il cuore ha fatto saltare il tappo. È un’autentica eruzione che invade ospedali soprattutto e innanzitutto, supermercati, negozi di generi alimentari, di frutta e verdura, aziende riconvertite. Sta incendiando persone che creano e inventano, fraternità, solidarietà, condivisione, compassione, consolazione.

Una vera e propria “religione del cuore” che non significa una spiritualità sentimentale ed effervescente quanto piuttosto pensare, decidere e operare secondo verità e giustizia. Per inciso, nelle Scritture Ebraiche (A.T.), “cuore” ricorre 860 volte, nel Nuovo Testamento 156 volte. “Cuore” implica una realtà molto ampia nella Bibbia. Include tutte le forme della vita intellettiva, tutto il mondo degli affetti e delle emozioni, nonché la sfera dell’inconscio in cui affondano le radici tutte le attività dello spirito. Don Tonino Bello era solito pregare: “Signore Gesù, buon Pastore, che hai dato te stesso fino alla morte di croce per le tue pecorelle, rendici degni di poter offrire tutta la nostra vita per la porzione di gregge che ci hai affidato. Vogliamo darla aut effectu, aut affectu, come ci ripete Sant’Agostino. O di fatto, o col cuore. Forse tu non chiedi questa prova oblativa effectu, con i fatti cioè. C’è la chiedi col cuore: affectu. E allora, per il bene dei fratelli, consumaci al fuoco lento del martirium cordis”. Quanti medici, infermieri, uomini, donne, stroncati dal virus offrono la propria vita per il mondo. Straripamento del cuore. Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Querida Amazonia usa “traboccamento”. Proprio cinque anni fa (11 aprile 2015, II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia) Papa Francesco ci consegnava la Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia: Misericordiae Vultus. “Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth …” (n.1).

Sta nascendo una “enciclica”, scritta col sangue e con le lacrime così ecumenica, così sinodale, così planetaria che non immaginavamo. “Donaci la gioia di capire che Tu non parli solo dai microfoni delle nostre chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i segni del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, e anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei …” (Don Tonino Bello). Si fa strada la vera fede (“sistema sempre aperto”), sempre antica e sempre nuova. Credere vuol dire “dare il cuore” (lat. credo, cor do). E ci risiamo! Protagonista il cuore (Cf. Vangelo di questa domenica). Cristo va verso Tommaso e gli mostra le sue piaghe, questo significa che la risurrezione non è una cancellazione o svalutazione della croce. Le ferite restano ferite. Le piaghe di Cristo rimangono le piaghe del nostro mondo. Il nostro mondo è stracolmo di ferite. Quanti chiudono gli occhi di fronte alle piaghe del mondo, non hanno alcun diritto di dire “Mio Signore e mio Dio”. Vedere e toccare le ferite di Cristo nelle ferite dell’umanità è una condizione per la fede autentica. Non ho il diritto di professare Dio finché non prendo sul serio tutte le ferite, tutte le sofferenze del mondo. La fede nasce e rinasce solo dalle ferite del Cristo, crocifisso e risorto, visto e toccato nelle piaghe dell’umanità. Solo una fede ferita è credibile (cf M.V. n. 15).

 

Immagine di evidenza: credito Città nuova

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