La diffusione del Coronavirus rappresenta un momento di svolta nella vita delle persone, che aspettano la fine della pandemia senza comprendere bene quello che accadrà dopo. La prevalenza dell’idea che tutto possa tornare “normale”, cioè il pensiero che, finita l’emergenza, la nostra vita e le nostre abitudini riprendano com’è stato fino allo scorso febbraio, è stata dimostrata a Siracusa dal comportamento poco oculato di quei concittadini che all’inizio della “fase 2” hanno causato assembramenti sconsiderati in alcuni luoghi della città, determinando come primo provvedimento l’ordinanza del sindaco che ha nuovamente disposto la chiusura della pista ciclabile “Rossana Maiorca” e vietato la fruizione del piazzale e dei gradini intorno al monumento ai Caduti d’Africa.
Questo atteggiamento sbagliato ci dovrebbe spingere a considerazioni più ampie: l’ottimismo forzato, la rimozione delle complessità e delle avversità, l’impulso di voler rimuovere di colpo il senso del tragico dalla vita quotidiana, non sono la giusta risposta all’esigenza di relazioni sociali e di connessioni umane che la forzata clausura ha messo in evidenza.
Mentre ci si avvia lentamente alla ripresa delle attività, augurandoci che lungo il percorso non ci siano ulteriori rallentamenti, bisogna rendersi conto che andremo incontro ad una recessione globale, e che vivremo grandi trasformazioni sociali e probabilmente anche culturali e politiche.
La pandemia ci sta facendo capire che a livello sociale siamo rimasti indietro. Sappiamo che stiamo entrando in una nuova era, il cambiamento nel modo di guardare le cose è ancora in corso. ma non vogliamo cambiare le nostre abitudini.
Si può immaginare che ci sarà una grande pressione per dimenticare questa primavera e tornare al vecchio modo di vivere la vita. Ma non sarà più possibile, anche se ancor oggi molti di noi non se ne rendono conto. Perché, nel mondo evoluto, la società è fondamentale per sopravvivere. L’economia è un sistema per l’ottimizzazione delle risorse, cosa molto utile per realizzare una civiltà sostenibile. Ma se l’economia si pone come scopo solo l’ottimizzazione del profitto, ci lascia vivere in un sistema di falso equilibrio sociale.
Le restrizioni provocate dal Coronavirus ci hanno spinto a considerare in modo più attento elementi fondamentali alla vita, quali cibo, acqua, ricovero, abbigliamento, educazione, assistenza sanitaria: forse ora apprezziamo di più queste cose, insieme alle persone che le creano con il loro lavoro. E la solidarietà che emerge quando ci sono situazioni drastiche, ci ricorda anche l’importanza del lavoro, che molti in questo periodo hanno perso e altri lo perderanno, prima che si riavii la ripresa che tutti auspichiamo. Ed allora non dovremo dimenticare questi sentimenti, che dovranno essere la base di quella evoluzione sociale necessaria per dare prospettive future alle nuove generazioni.