Era già accaduto all’inizio dello scorso mese di aprile, nella fase più acuta della drammatica emergenza coronavirus, quando in apertura della messa mattutina a Santa Marta aveva pregato  “per tutti coloro che lavorano nei media, per comunicare, perchè la gente non sia isolata, per l’educazione dei bambini, per l’informazione, per aiutare a superare questo tempo di chiusura“.   Una preghiera che in quella circostanza era giunta a pochi giorni di distanza da quando in mondovisione, nel quasi irreale  scenario di una piazza San Pietro completamente vuota e battuta dalla pioggia, prima di impartire la solenne benedizione urbi et orbi aveva invocato il Signore perché ci salvi “dalla cattiva informazione”. Adesso, all’inizio della fase 2, Papa Francesco ha nuovamente  rivolto la propria attenzione al sistema dei media. Lo ha fatto poco giorni fa, sempre in apertura della messa mattutina, rivolgendo una preghiera “per gli uomini e le donne che lavorano nei mezzi di comunicazione. In questo tempo di pandemia rischiano tanto e il lavoro è tanto. Che il Signore li aiuti in questo lavoro di trasmissione, sempre, della verità».

L’attenzione che il Pontefice riserva al mondo dell’informazione, al lavoro dei giornalisti, il monito a perseguire in questa azione di informazione la ricerca della verità senza cedere alla tentazione del sensazionalismo ad ogni costo,  a non assecondare la voglia di forzare la realtà sino a trasfigurarla alimentando la marea montante delle fake news, altro non è che un’ulteriore dimostrazione di come sul troncone principale di questa emergenza covid-19 (di fatto uno dei primissimi avvenimenti di portata mondiale che stiamo vivendo  seguendone i diversi aspetti  praticamente in diretta 24 ore su 24) se ne sia innestato un altro relativo al modo in cui questo avvenimento viene raccontato.

E in questo ambito il fronte della disinformazione continua a rimanere uno dei più caldi ancora oggi, in piena fase 2 e a oltre due mesi e mezzo da quando il coronavirus ha fatto la sua apparizione anche nel nostro Paese. Ma, come viene evidenziato da più parti, non è sempre facile riconoscere una notizia falsa. Insomma, si fa presto a dire fake news…

In un mio recente lavoro ho lanciato l’allarme a non pensare che sia possibile etichettare qualsiasi notizia che non condividiamo, qualsiasi tesi che non collimi col nostro personale punto di vista, come una fake news. Il rischio che in questo caso si correrebbe è che se consideriamo tutto fake news (il che, ci darebbe anche il comodo alibi di non dover minimamente argomentare la diversità del nostro pensiero rispetto a quello che, tout court, definiamo falso) alla fine nulla sia fake news… Anche perchè non esiste una “ricetta” unica per confezionare – e allo stesso tempo per riconoscere – una notizia falsa nella quale molto spesso si sommano elementi di verità verificata ed altri di semplice verosimiglianza. Ma, negli ultimi giorni, le cronache ci hanno messo sotto gli occhi un tipo ancora più insidioso di fake.

La vicenda  è quella, rimbalzata sui giornali e sulle tv di tutto il modo (per non dire dei diversi social media), dei così detti covid party scoperti dalla polizia della contea di Walla Walla nello stato di Washington negli Stati Uniti. In pratica delle feste con la partecipazione di numerosi soggetti già positivi al covid-19 organizzate allo scopo di agevolare la diffusione del contagio in maniera tale da “favorire” il raggiungimento delle soglie minime per far scattare la così detta immunità di gregge. Una notizia che dagli Stati Uniti è volata ovunque nel mondo finendo anche sulle pagine – pure in Italia – dei più autorevoli quotidiani, sui giornali on line più diffusi e sui notiziari delle tv nazionali.

Aldo Mantineo

Ma mentre questa notizia, che risultava fosse stata fornita e confermata in questi termini dalla polizia della Contea, faceva il giro del mondo, la stessa polizia rettificava meglio il tutto spiegando che quelle che avevano scoperto erano sì feste alle quali era stata sì accertata la presenza di soggetti contagiati ma non organizzate con l’intento di agevolare la diffusione del coronavirus. Una nuova versione che, com’è evidente, offre una differente “lettura” di quanto accaduto ma che ha finito con il generare una fake news – per scoprire la quale si è messa in moto la macchina del fact cecking internazionale – e che ha comunque mietuto vittime illustri: il sistema dei media più strutturato, dotato di professionalità e strumenti di ricerca, che ha dovuto alzare bandiera bianca… E questo apre la porta ad un’altra considerazione, relativa al fatto che il rischio-fake si annidi potenzialmente davvero ovunque, anche nei posti più insospettati e insospettabili, anche nelle strutture di comunicazione istituzionale. Anche qui occorre però fare le debite differenze senza cedere alla voglia di etichettare come fake anche quelli che sono, ad esempio, solo annunci di provvedimenti  che verranno (e che magari poi non vedranno la luce) o in via di perfezionamento. La posta in gioco è sempre quella: se pensiamo che tutto possa essere fake news, alla fine niente sarà fake news.

Aldo Mantineo, giornalista e scrittore ha da poco lanciato l’instant-book “Fakecrazia – L’informazione e le sfide del coronavirus” del giornalista Aldo Mantineo, edito in formato ebook da Media&Books. Il libro sarà gratuitamente disponibile fino al 15 giugno, per il download (da lunedì 4 maggio) da GooglePlay oppure è scaricabile (lecitamente) da Telegram (t.me/media_books) o si può richiedere all’editore: mediabooks.it@gmail.com.

Immagine in evidenza: Agensir.

Condividi: