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#40ENA MANUALI D’USO: ZERO CONTAGI O “ZERO TITULI”?

#40ENA MANUALI D’USO: ZERO CONTAGI O “ZERO TITULI”?

SE ANCHE IN NUMERI POSSONO DIVENTARE UNA FAKE NEWS

L’allarme dell’Accademia Nazionale dei Lincei: “I dati attualmente resi pubblici da ISS e Protezione Civile sono estremamente scarsi”

Alla fine il gran giorno è arrivato! Con la dimissione degli ultimi due pazienti covid, avvenuta nel fine settimana appena trascorso, la provincia di Siracusa ha potuto scrivere quel tanto atteso “zero positivi” nella specifica casella di quel monitoraggio che da oltre tre mesi scandisce la quotidianità di un intero Paese. Un risultato importantissimo anche perché Siracusa diventa la prima provincia dell’Isola a raggiungere questo importante  traguardo. Uno “zero” che, contrariamente a quel che si è convenzionalmente portati a pensare, in questo caso vale quanto e più di un caro, vecchio “dieci e lode” al quale si ambiva un tempo a veder scritto in pagella. Un risultato numericamente – e non solo – molto importante che si sposa con un altro paio di…. numeri di tutto rispetto. L’ASP in una nota ha, infatti, sottolineato che “ad oggi, su 251 casi dall’inizio dell’epidemia si registrano 222 guarigioni e nessun paziente positivo. Da 13 giorni non ci sono più decessi e da 11 giorni non ci sono più contagi”.

Diciamo che guardando all’emergenza coronavirus dal microcosmo siracusano il weekend appena scivolato via è stato qualcosa che sta a metà tra la “liberazione” e la ripartenza… Il tutto nel segno dei numeri che sembrano rappresentare una solida ed oggettiva certezza (rispetto, almeno, al mutare del pensiero) in questo momento così delicato di una fase 2 – e in vista di una fase 3 che alcuni fanno coincidere con la riapertura delle frontiere interne dell’Unione Europea, anche se non in maniera uniforme, dal 15 giugno prossimo – che si sta vivendo con un occhio alla voglia di “riprenderci” la vita che avevamo prima del 21 febbraio e con l’altro a provare di capire quale vita sarà invece possibile realmente avere dovendo continuare a fare i conti con il coronavirus. Naturalmente scrutando l’orizzonte autunnale, quando potremmo trovarci a dover affrontare un nuovo affondo della pandemia, e immaginando come potrebbe essere una ripresa – dopo questa “strana” estate che ci stiamo apprestando a vivere all’insegna del distanziamento interpersonale anche al mare – tra ritorno sui banchi di scuola (forse) con i pannelli di plexiglass, lezioni in parte on line e momenti di socialità ridotti all’osso e sempre a rigorosa distanza di almeno un metro (ancora numeri, tanto per cambiare!).

Ma oggi proviamo a trarre fiducia dalle cifre che, al pari di belle immagini, riescono anche a “parlare” da sole, a raccontare molto più e molto meglio di quanto non possa riuscire a fare chi utilizza le parole. Non è un caso che anche nel mondo del giornalismo, abbandonato ormai da tempo il vecchio “linguaggio” unico, si parli piuttosto di “linguaggi” e che non di giornalismo si debba parlare ma di giornalismi. Ma quanto difficile e complicato sia quel – apparentemente semplice – passaggio dal singolare al plurale è sotto gli occhi di tutti. In questo percorso che sta sempre più spingendo la comunicazione, e il mondo dell’informazione in primo luogo,  a seguire sentieri via via differenti, il ruolo e il peso dei numeri è crescente. Non è certamente un caso che uno dei segmenti che sta offrendo oggi prospettive più interessanti di crescita e sviluppo della professione è proprio quello del data journalism, definita come “una branca della professione che attinge alla statistica descrittiva, ma anche alla rappresentazione grafica di grosse quantità di dati nonché alle scienze sociali e comportamentali” (wikipedia.it). Insomma, raccontare un fatto, una vicenda, seguirne l’evoluzione, interpretarne il senso, scoprirne risvolti meno evidenti, attraverso i “freddi” numeri. Un po’ come abbiamo provato a fare durante il lockdown quando attendevamo la diretta in tv e sui social della conferenza stampa delle 18 della Protezione Civile per ascoltare quei numeri – nuovi positivi, nuovi guariti, deceduti, ricoverati in terapia intensiva o nella semintensiva… e via così -,   incrociarli con quelli che attingevamo da altre fonti (in verità non sempre ineccepibili…) e provare quindi a farci una nostra idea di quale fosse lo stato dell’arte della progressione della pandemia. Magari con l’obiettivo poi di trasformare tutto in post sui social o in messaggi da affidare alle decine e decine di chat  che nel corso della quarantena hanno avuto per alcuni  il rilievo della Gazzetta Ufficiale…

Ma a ricordarci che anche nella “lettura” dei numeri si può… non essere d’accordo, nelle ultime ore ci ha pensato addirittura l’Accademia Nazionale dei Lincei, istituzione di alta cultura che, come si legge nell’articolo 1 del suo statuto “ha lo scopo di promuovere, coordinare, integrare e diffondere le conoscenze scientifiche nelle loro più elevate espressioni nel quadro dell’unità e universalità della cultura…“. Bene, è stata la specifica Commissione Covid-19 che l’Accademia Nazionale dei Lincei ha attivato “allo scopo di esaminare i problemi relativi al SARS-CoV-2” a lanciare un durissimo affondo. Nell’ultimo documento non si usano giri di parole o eufemismi: “(…) Al momento attuale i dati che l’Istituto Superiore di Sanità e la Protezione Civile rendono pubblici sono estremamente scarsi: in questo modo la comunità scientifica nel suo insieme non è in grado di fare valutazioni affidabiliPoiché la scienza si basa sulla riproducibilità dei risultati, è fondamentale che gruppi diversi di ricercatori, lavorando sugli stessi dati resi pubblici, siano in grado di ritrovare lo stesso risultato. Nel caso delle analisi epidemiologiche, che hanno ricadute sulla vita della società, è opportuno e utile che gruppi diversi di scienziati arrivino a conclusioni sostanzialmente condivise. Nel caso di specie ciò è impossibile se è vero che un solo gruppo di scienziati è in possesso dei dati necessari per fare le analisi. Superata la fase acuta della epidemia, riteniamo che sia giunto il momento, per le istituzioni sanitarie regionali, l’ISS e la Protezione Civile di pianificare una condivisione dei dati concertata con la comunità scientifica.  In assenza di trasparenza, ogni conclusione diviene contestabile sul piano scientifico e, quindi, anche sul piano politico. Solo con la trasparente alleanza tra scienza e politica possiamo affrontare efficientemente la convivenza con il coronavirus e prevenire una possibile risorgenza del COVID-19 o gestire l’emersione di future, possibili, epidemie”.

Come dire: il “racconto” fatto sin qui della pandemia potrebbe essere stato quanto meno lacunoso, se non altro e anche di più.

E così dopo aver scoperto che uno dei lavori più ambiti che volevano fare i bambini di 40, 50 e 60 anni fa non era l’astronauta o il pompiere ma il virologo – almeno a giudicare dalla gran quantità di esperti fioriti sugli schermi negli ultimi mesi (e su questo il mondo dell’informazione ha l’obbligo di fare più di una riflessione per aver accreditato davanti al proprio pubblico talvolta chi tale accreditamento accademico non avrebbe invece meritato) – adesso dobbiamo prendere anche atto che, a quanto pare, potrebbe non essere campato in aria pensare che anche “2+2 uguale 4” in alcuni casi potrebbe essere una fake news!

 

Aldo Mantineo, giornalista e scrittore ha lanciato l’instant-bookFakecraziaL’informazione e le sfide del coronavirus” del giornalista Aldo Mantineo, edito in formato ebook da Media&Books. Il libro sarà gratuitamente disponibile fino al 15 giugno, per il download (da lunedì 4 maggio) da GooglePlay oppure è scaricabile (lecitamente) da Telegram (t.me/media_books) o si può richiedere all’editore: mediabooks.it@gmail.com.

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