Anche nell’omelia della domenica di Pentecoste Papa Francesco ci ha sorpreso con la sua profondità e capacità di comunicare con parole semplici e chiare. “Peggio di questa crisi c’é solo il rischio di sprecarla”.

E lo ha detto alla luce del racconto dell’apparizione di Gesù agli apostoli. Loro, ancora nel lutto della scomparsa del loro maestro, non avevano riconosciuto questo uomo pieno di luce. Ma quando videro le ferite alle mani e ai piedi non ebbero dubbi. Era Gesù. Dunque il riconoscimento più profondo tra esseri umani va al di là dei connotati esteriori, del colore della pelle o della forma del viso, della lingua e dei costumi. Ci si può riconoscere profondamente solo se si comprende il dolore che ognuno di noi attraversa. Questo riconoscimento è un atto di fede, una capacità di fare un passo verso l’altro nonostante le nostre paure e le nostre stesse ferite. Il dolore ha in sé un grande potere di vicinanza e appartenenza alla comunità umana.

Ritornando al monito del Papa, di non sprecare l’esperienza della pandemia, m sembra importante sottolineare che non dobbiamo far finta di non avere sofferto. Uscire dalla pandemia non può e non deve essere un tornare come prima, perché abbiamo attraversato momenti di grande incertezza e paura, che ci hanno trasformati profondamente. Non possiamo fare finta di niente.

Abbiamo la possibilità di rinascere ad una consapevolezza più alta della nostra esistenza e della nostra sofferenza.

La memoria di quella paura di un contagio incontenibile, il disorientamento sul da farsi e la voglia di rimanere uniti nel pericolo, il lottare insieme per un unico scopo al di sopra degli individualismi, sono tutte esperienze che non dovremmo mai dimenticare, perché denotano la nostra capacità di sentirci uguali agli altri, e di fare le cose essenziali per la sopravvivenza nostra e dell’umanità. Sentirci trasformati dal dolore per tutte le morti avvenute per il coronavirus, e percepire nell’anima una luce fatta di amore per l’altro e di serenità verso ciò che non è in nostro potere controllare ci aiuterà ad essere persone e cittadini migliori. Non possiamo dimenticare questi sentimenti che ci hanno unito e anche orientato verso i valori più importanti della vita. Non possiamo sprecare la pandemia. Siamo stati all’erta, abbiamo ascoltato tantissime trasmissioni scientifiche e non, ognuno di noi ha avuto emozioni e ha fatto cose diverse. C’è chi è stato meglio chiuso in casa, finalmente legittimato a non affannarsi per mille cose e a stare vicino ai propri cari, c’è chi ha sentito fortemente la propria solitudine e si è messo a disposizione degli altri.

Eppure proprio questa diversità ci ha tenuti vitali. Siamo stati tutti presenti con la nostra anima e il nostro amore per la vita. Abbiamo sentito di essere ciascuno un pezzetto diverso di un unico grande puzzle. Tutti amati ad uno ad uno, tutti indispensabili per portare a termine il progetto di amore affidatoci da Gesù.

L’augurio più bello alla fine di questa pandemia è di guardare l’altro con maggiore profondità: chiediamoci qual è il suo dolore anziché cosa può toglierci o come possiamo strumentalizzarlo.

 

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