ADESSO ALLE FORZE DEL SI L’ONERE DELLA PROPOSTA DI UNA RIFORMA SERIA: SUPERAMENTO DEL BICAMERALISMO; RIFORMA DEL RAPPORTO STATO REGIONI (TITOLO V DELLA COSTITUZIONE); RIFORMA ELETTORALE COERENTE.

ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE: VINCE L’AFFIDABILITA’ E LA CONCRETEZZA DEI GOVERNATORI IN CARICA; LA LEGA NON SFONDA E PERDE IN TOSCANA E INIZIA UNA SUA INVERSIONE DI TENDENZA IN TERMINI DI MINOR CONSENSO; CROLLO ELETTORALE DEL M5S; SOSTANZIALE TENUTA DEL PD; ESORDIO POSITIVO DI ITALIA VIVA; NECESSITA’ DI UNA FORMAZIONE POLITICA PER I GIOVANI:CREAZIONE DI LUOGHI RELAZIONALI DI  DIALOGO IN CUI SI INCONTRA L’ESPERIENZA COMUNITARIA  DI FEDE CRISTIANA E IL DOVERE DELL’IMPEGNO POLITICO.

In un paese democratico, quando il popolo si esprime attraverso il voto libero, si prende atto del risultato. Queste elezioni sono state una sorta di election day, un test imporatnte per la piolitica italiana perché si è votato per il referendum e per il rinnovo di ben sei consigli regionali e i risultati offrono alle forze  politiche elementi di riflessione per le loro azioni future.

Come tutti sanno al referendum sulla riduzione dei parlamentari ha vinto il SI con una percentuale che si avvicina al 70% dei voti.

Agli analisti il compito di interpretare il dato. La domanda da porre è la seguente: cosa ci sta dentro quelle ragioni del si?

Tutti, votando si, hanno espresso la inequivocabile volontà di vedere ridotto il numero dei parlamentari, questo è ovviamente evidente, ma le ragioni che hanno sorretto questa volontà sono molteplici.

Una percentuale di elettori ha votato si perché riteneva esagerato il numero dei componenti il Parlamento anche a fronte di altri Parlamenti democratici. Punto. Diciamo una decisione asettica squisitamente quantitativa.

Un’altra percentruale di elettori ha votato SI, mossi da un giudizio moralmente pesante nei confronti dei parlamentrari in generale. Per questi elettori, o buona parte di essi, il Parlamento è un luogo in cui non si lavora, nel quale si annida la corruzione e dove i suoi componenti sono tutti o quasi ladri. Per buona parte di questi elettori il Parlamento potrebbe essere eliminato senza colpo ferire; per questa fetta di elettori non importa l’esercizio in se della democrazia e della libertà salvo quella del proprio orticello. Per costoro il motto è: “ogni occasione è buona per mandarli a casa” e, dunque, proposte che vanno in tal senso sono sostenute da questa fetta di elettorato che in esse si riconosce e in un certo senso si identifica. Questi elettori non chiedono le alternative, non si pongono il tema della ricostruzione istituzionale del Paese, hanno come obiettivo, invece, soltanto la eliminazione di quello che intendono come potere chiuso, come casta. Sono populisti? Sono elettori di destra? Sono elettori antidemocratici? Io propendo di più nel dire che sono elettori che sfuggono a ogni catalogazione, a ogni etichetta costruita a tavolino. Direi che sono elettori che, a torto o a ragione, riversano nella politica tutte le loro frustrazioni sociali. Questi però votano e hanno un peso. Ed essi  costituiscono la base sicura per quelle forze politiche che hanno l’obiettivo di conquistare il potere e con esso il governo del Paese o più precisamente hanno l’obiettivo di scardinarne gli equilibri istituzionali.

Poi hanno votato SI anche coloro che ritengono  che questa riforma sia un mezzo per ritornare a mettere mano ad una riforma più organica e complesiva della nostra costituzione. Dunque dentro  questo calderone del si c’è anche una fetta di riformisti, cioè di elettori che sinceramente pensano che il Parlamento vada spinto dall’esterno  a fare le riforme e trovare fuori da se il coraggio e la forza per produrre una riforma che cambi veramente il Paese. Sono elettori illusi?

Che inseguono i poopulisti? Vedremo. Sta di fatto che allo stato delle cose noi avremo il prossimo Parlamento con 400 deputati (Invece di 630) e 200 senatori (invece di 315) che avrà le stesse funzioni, cioè sarà ancora in regime di bicameralismo perfetto,  se non  interverrà,  come come questi elettori auspicano, una riforma più complessiva.

In effetti ci sarebbero  tre anni di tempo per produrre una riforma complessiva del nostro impianto costituzionale prima che questo Parlamento venga sciolto per fine mandato e cioè nel 2023.  Tuttavia, come abbiamo visto, anche nel recente passato, il campo della riforma costituizionale è veramente un campo minato. A fronte di un appello populista, allo stato attuale, qualsiasi riforma ragionata e organica sarebbe bocciata dall’elettorato, a meno che le forze politche tutte, di maggioranza e opposizione, non siano capaci di giungere un accordo unitario che li trovi concordi nel sostenere il processo di riforma in modo da evitare il referendum confermativo.

Una cosa però questo Parlamento è obbligato a fare: ridisegnare le nuove circoscrizioni elettorali come conseguenza di questa diminuzione dei parlamentari e con esse la nuova legge elettorale coerente con questo nuovo assetto. Un altra cosa certa è che le circoscrizioni diminuiranno di numero ma saranno necessariamente più ampie e cio, sia che si scegliesse un sistema proporzionale o un sistema maggioritario di collegio.

Dopo questa breve disamina del voto referendario quale conclusione possiamo trarre?

Innanzi tutto due italie. l’Istituto Cattaneo ha  analizzato il voto sotto l’aspetto sociologico e giografico. Il No ha prevalso nelle grandi città, al Nord del Paese e tra giovani e tra i ceti medio alti. Il Si ha prevalso maggiormente al Sud e tra le categorie sociali meno abbienti, meno istruite e acculturate. Dunque ancora una volta la questione meridionale del nostro Paese, mai risolta, costituisce terreno fertile per il diffondersi di un certo populismo e di una certa antipolitica.

In secondo luogo bisogna dire che  le forze politiche non sono più in grado di guidare il popolo e indirizzarlo in ragione di una visione politica costruttivamente democratica. E quelle che in questo referendum hanno sostenuto le ragioni del si non hanno indirizato l’elettorato ma potrei dire che è avvenuto esattamente il contrario e cioè alcune forze hanno spinto e si sono basati su questa esigenza popolare e di massa già esistenete a prescindere, per giungere  verso decisioni che comunque scardinano i meccanismi e le dinamiche su cui si regge il nostro sistema.

Altre forze,  percependo che il Si avrebbe vinto, ne hanno cavalcato le ragioni  più per opportunismo che per convinzione come il Pd. Altre  hanno lasciato  libertà di voto.

Ma su un punto si può essere tutti concordi: mai come in questo referendum, dopo anni di bombardamento di forze anti sistema anche con l’ausilio dei media,  vi è stata  da parte di tutti la consapevolezza che il si avrebbe vinto a mani basse e che nessuna campagna elettorale a favore delle  ragioni del no avrebbe potuto modificarne l’esito,  che ha avuto certamente una componente populista evidente.

 

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Oltre al referendum, come si sa, si è votato anche per il rinnovo di sei consigli regionali: Valle D’Aosta, Liguria, Toscana, Veneto, Marche, Campania, Puglia. E in molti comuni.

Cosa è emerso? Innanzitutto rilevo che su quattro Presidenti di Regione ricandidati,

De Luca ,  Zaia, Toti ed Emiliano, sono stati eletti tutti e quattro. Due ascrivibili al centrodestra (Zaia in Veneto e Toti in Liguria) e due al centrosinistra (De Luca in Campania, ed Emilianio in Puglia).  Sono stati bravi? Hanno governato bene? Di certo la maggioranza degli elettori li ha percepiti come difensori di un territorio, quasi come dei condottieri. Mi piace sottolineare questa dimensione più di psicologia sociale che politica, tanto più che si è verificata nella sua dinamica sia nei confronti di governatori del centrodestra che di  centrosinistra. E’ un sentimento diffuso. In un contesto di crisi generalizzata essere difesi e guidati da personalità capaci di tutelare gli interessi di un territorio e di una popolazione emerge quasi come una priorità e dunque gli amministratori che sanno interpretare in maniera attiva e dinamica questo sentimento di massa, vengono premiati perché, in qualche modo, la gente si riconosce in loro.

Altro elemento da rilevare è che la lega di Salvini non sfonda, anzi sembra stia cominciando una inversione di tendenza al ribasso  in termini di voti. La Toscana era la linea di maginot. Presa la quale si sarebbe consolidato il dato nazionale di una Lega che espugna anche le Regioni storicamente definite“Rosse” . Questro obiettivo non è stato raggiunto. la Toscana, con la vittoria di Giani, rimane al centrosinistra anche se la lega ha ottenuto in quella Regione  un consenso ragguardevole.

Ma ciò che emerge come dato più rilevante è il crollo del Movimento Cinque Stelle che scende a percentuali sotto il dieci per cento in quasi tutte le regioni, percentuali di gran lunga inferiori a quelle ottenute alle politiche del 2018. Questo dimostra che un conto è fare una campagna elettorale su temi che toccano la pancia dell’elettorato, temi tipici di una politica antisistema basata sul concetto di moralità, onesta, trasparenza, anti casta, poltrone, anti parlamento; politice centrate sulla contrapposizione tra popolo e Istituzioni, e un conto governare i territori dove è necessario un minimo di competenza, di visione, di una capacità di dialogo con altre forze. Su questo fronte i pentastellalti non sembrano essere adeguati agli occhi dei cittadini che infatti gli negano il consenso necessario a governare. Il Pd sembra reggere e col suo zoccolo duro, proveniente dalla sinistra socialdemocratica, pci, pds, ds, si attesta intorno al 19/20%.

E infine c’è da registarare in queste elezioni l’esordio di Italia Viva dell’ex Premier Renzi. Un debutto che ha ottenuto un rispettabile 6,78% di consensi come media. Questo nuovo partito che si colloca al centro dello schieramento politico, tra sovranismo da una parte  e populismo dall’altro, aspira a guidare un polo riformista, ad aggregare i moderati italiani e creare e dunque rappresentare un ampio polo liberal democratico dove anche la componente del cattolicesiomo politico democratico e liberale possa trovare spazio da protagionista. Il suo alleato naturale sembra esere il centrosinistra, preferibilmente senza la presenza dei pentastellati nei cui confronti IV si dichiara alternativa. E’ come dicevo un partito che si presenta alle elezioni amministrative per la prima volta dopo solo un anno dalla sua nascita. Si può ragionevolmente prevedere una sua crescita. Molto dipende anche dalla capacità di attrazione e aggregazione nei confronti dell’elettorato liberal democratico che fino ad oggi ha votato per Forza Italia.

Concludo questa breve analisi con qualche segno di speranza. Se è vero, come ha recentemente detto Padre Sorge che con la vittoria del Si al Referendum l’Italia fa un salto nel buio perché non si intravvedono i presupposti, seppur auspicati, di una seria e necessaria riforma costituzionale, E’ anche vero che alle elezioni regionali gli elettori hano dato segnali chiari facendo scelte razionali, affidandosi a governatori di esperienza, concreti, e rappresentativi.

Resta, tuttavia, come problema centrale quello della formazione politica dei nostri giovani, che devono essere spinti, invogliati a fare politica. Su questo versante, a difesa dei nostri valori costituzionali di libertà e di solidarietà, i laici cattolici, anche con il supporto della comunità ecclesiale,  possono e debbono fare di più nella creazione di luoghi relazionali di incontro, in cui la formazione politica, attuata con le metodologie moderne di comunicazione ed apprendimento,  si incrocia e si incontra con una autentica esperienza comunitaria di fede cristiana.

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