L’espressione ‘andrà tutto bene’ usata e ripetuta all’inizio della pandemia appare adesso comica e amara. Frutto di un buonismo comune e di una fiducia illimitata nel futuro sembra rivelare il cinismo di chi comunque sta bene e il cui conto in banca non risente della crisi economica ultimamente aggravatasi anche per l’epidemia.

E sembra quasi che in Italia tutto si affronti solo emotivamente. Ma la democrazia per reggere ha bisogno di bene altre risposte, consapevoli, forti, dettate da una attenta lettura della realtà e soprattutto sostenute dal diritto.

Non sempre infatti la democrazia funziona. A partire da una vecchia formula che la considera come governo del popolo per il popolo, la democrazia formale si riduce a governo del popolo (mero rito istituzionale), la democrazia sostanziale è piuttosto un governo per il popolo. La prima, popolare solo in apparenza e simile a un guscio d’uovo svuotato, potrebbe favorire una minoranza ristretta di detentori del potere economico. La seconda invece rispecchia di più il significato aristotelico di un governo della classe più numerosa, ovvero quella dei poveri, a discapito delle élites.

In genere quando si parla di democrazia si prova sempre a porre l’accento sul tema dei doveri, e tuttavia l’attenzione al bene comune si incrina perché i processi democratici non funzionano così e suppongono anche altro.

Per sentirsi parte di una democrazia, per rispettare le regole del vivere comune, è infatti necessario far parte di una comunità di diritti. Un qualsiasi ragazzo, non facente parte delle élites di questo paese potrebbe pensare: se mia madre si ammala, chi mi permetterà di continuare gli studi? E se mio padre perde il lavoro come posso arrivare all’università? Perché un povero, un giovane senza mezzi per sue legittime ambizioni dovrebbe nutrire interesse per la democrazia se la comunità non lo sostiene nei suoi progetti? Non sono forse il diritto alla salute e all’istruzione tra i beni essenziali della persona? Non siamo sempre noi cattolici ad invitare i giovani ad aver un progetto per il futuro? E se non vi sono i mezzi per questo progetto, in che modo, ad esempio, la Chiesa li aiuta?

Dunque: io mi sento tenuto al rispetto del bene comune e divengo partecipe della democrazia quando sono parte di una comunità di destini, quando so che il mio destino sta a cuore alla comunità, quando so che essa non lascia indietro nessuno e a tutti sono offerti gli stessi diritti.

In tal senso mi viene da pensare all’azione politica di Giorgio La Pira. Per il sindaco di Firenze, essere un politico credente e cristiano non voleva dire fare il baciapile o andare a tutte le processioni religiose, essere fanatico di statue, o farsi foto con preti e prelati, o baciare anelli ad ogni festa di precetto.

Ma ben altro: creò quartieri e case popolari vivibili e tuttora molto belle come l’Isolotto (eh sì anche i poveri hanno diritto alla bellezza) e si schierò più volta favore dei diritti degli operai. Non si adoperò solamente per la carità ai poveri, ma mantenne alto il livello di istruzione nelle scuole dei quartieri disagiati di Firenze perché anche chi nasce povero ha diritto ad una seria istruzione in modo da poter uscire dalla sua condizione e non esser sempre oggetto e destinatario di elemosina. Per quasi trent’anni Firenze non risentì della crisi dell’edilizia scolastica.

Mi viene poi in mente il cardinale Lercaro che nel suo episcopio ospitava un gruppo di studenti che non riuscivano a sostenere le spese universitarie e che accedevano quotidianamente alla mensa arcivescovile.

Oggi più che mai la democrazia è in crisi proprio perché chi è disagiato non accede alla formazione. In una recentissima intervista Luigi Ambrosio, direttore della Scuola Normale di Pisa ha detto che sempre più spesso i normalisti sono figli di genitori laureati, di insegnanti e altri professionisti. Insomma l’ascensore sociale che in passato ha sempre funzionato, quello che ha sempre permesso al figlio dell’operaio meritevole di poter studiare e diventare dottore, nel corso degli anni si è inceppato.

E in tal senso lo stato democratico oggi non è spesso capace di farsi carico del destino dei suoi giovani cittadini e del loro futuro. Non solo: vi saranno sempre meno competenze e continuerà un processo di decadenza civile.

Se i cattolici italiani impegnati in politica avessero ancora intenzione di essere il sale della terra e volessero ascoltare quanto il Papa e i vescovi dicono a proposito di emergenza educativa, dovrebbero farsi carico di tutto ciò e provare almeno in parte a invertire la rotta.

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