Democrazia è una parola bellissima che contiene in sé un concetto fondamentale, ossia l’uguaglianza tra gli esseri umani. Ciascuna persona è un essere unico ed irripetibile ma ognuno è pari agli altri. Sta in questo la forza dell’idea di democrazia, un’idea che la nostra Carta Costituzionale declina in varie forme nel suo dettato, ad esempio all’articolo 3 per quanto attiene al rapporto tra cittadini e ordinamento dello Stato, o all’articolo 32 per quanto attiene la tutela della salute o all’articolo 33 per quanto attiene al diritto all’istruzione.
Tuttavia, pur nella sua grandezza, la nostra Carta non contempla il diritto alla sicurezza alimentare cioè, secondo la definizione della FAO, la sicurezza che tutte le persone e in ogni momento possano avere accesso a “una quantità di cibo sufficiente, sicuro e nutriente per soddisfare le loro esigenze dietetiche e le preferenze alimentari per una vita attiva e sana”. Declinare il concetto di democrazia dal punto di vista del cibo significa, prima di tutto, garantire a ognuno una condizione di sicurezza alimentare. Così non è, né nel mondo, dove le persone che soffrono di patologie legate ad un eccesso di alimentazione sono assai più numerose delle troppe persone denutrite e malnutrite, né nel nostro Paese che pure è la patria della dieta mediterranea. Un esempio aiuterà a chiarire il concetto: l’olio extravergine di oliva prodotto in Italia, acquistato direttamente dal produttore, costa almeno 8/10 euro al litro perché, se un produttore lo vendesse ad un prezzo inferiore, lo venderebbe in perdita; eppure, gli scaffali dei tanti, forse troppi, discount alimentari abbondano di olio extravergine venduto a 2/3 euro al litro; in realtà si tratta non di olio evo italiano ma di miscele di oli comunitari ed extracomunitari ottenuti da olive coltivate con impiego di sostanze vietate in Italia perché potenzialmente nocive per la salute o di oli lampanti corretti con una parte di olio evo. Altro esempio calzante è la pasta: è ormai noto a tutti che il grano coltivato nel meridione d’Italia sia più sano; purtroppo la pasta interamente prodotta con grano italiano ha un prezzo mediamente più alto della pasta ottenuta da grani esteri. La differenza di prezzo costituisce, con ogni evidenza, una disparità di accesso al cibo più salubre e, quindi, rappresenta un vulnus democratico in rapporto al cibo. Come ovviare?
Lato consumatori, l’intervento non può che essere quello di attuare politiche dei redditi e fiscali atte a ridurre la forbice economica tra la parte più ricca e la parte meno ricca del Paese; un’indagine pubblicata nel 2020 da Il Sole 24ore evidenzia come i tre italiani più ricchi della Nazione possiedano una ricchezza superiore a quella detenuta dai 6 milioni di italiani più poveri e, purtroppo, la crisi innestata dalla pandemia, ha allargato ulteriormente la forbice. Ridurre le disuguaglianze è l’unico modo per rendere accessibile a quote sempre più ampie di popolazione cibo sano e di qualità.
Sul versante produttori, l’intervento più urgente è quello di vietare definitivamente la pratica della doppia asta al ribasso con la quale la GDO (grande distribuzione organizzata) riduce drasticamente i margini di guadagno dei produttori costringendoli, di fatto, ad abbassare la qualità della materia prima impiegata e le tutele e i diritti della forza lavoro. Oppure a orientarsi verso un target di consumatori con maggiore capacità di spesa.
Ma la qualità del cibo può essere considerato un lusso? Rigorosamente no, perché non stiamo parlando di caviale albino o di manzo di Kobe, ma di cibi quotidiani e semplici come l’olio, la pasta, il pomodoro …
Un altro aspetto della democrazia del cibo è la sostenibilità sociale: può un cibo prodotto facendo ricorso a pratiche illegali come il caporalato in agricoltura essere considerato democratico? Può dirsi rispettoso dell’idea stessa di democrazia, un tonno pescato dai cosiddetti “schiavi del mare” , pescatori poverissimi del Sud-Est asiatico costretti a lavorare anche 18 ore al giorno per meno di due dollari al giorno? E’ democratico un cioccolato prodotto con cacao coltivato con sfruttamento di manodopera minorile, solo in Ghana e Costa d’Avorio 1,56 mln di bambini, giusto per dare un‘idea del fenomeno?
Applicare il concetto di democrazia al cibo, dunque, ha profonde implicazioni normative, sociali, economiche, fiscali. Ma soprattutto etiche. Perché la democrazia stessa è essenzialmente una questione di etica. Come già disse Pericle nel suo celebre “Discorso agli Ateniesi”: “Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”