Il sacerdote di origini sortinesi, 76 anni, è vicario generale della diocesi Our Lady of Deliverance degli Stati Uniti d’America del patriarcato siriano cattolico d’Antiochia. Il suo apostolato fra chi arriva soprattutto dal vicino Oriente: un sostegno non solo materiale, ma essenziale

Emigrato fra gli emigrati, per dare loro un conforto e un sostegno non solo materiale ed esistenziale, ma “essenziale”. Per curare il corpo, ma soprattutto lo spirito, l’anima. Il bisogno di qualcosa di più alto del mantenersi: la difesa della propria umanità, del proprio essere, in una terra lontana, senza affetti. Figli di una diaspora che ha causato tante separazioni e porta gli uomini in mondi diversi ai quali adattarsi con la forza dei propri valori, con le radici ancora piantate nei paesi di origine, anche se ora provano a integrarsi in un’altra terra. C’è questo profondo pensiero nell’impegno che da una vita porta avanti monsignor Cesare Russo, in America – da New York alla Florida. Al fianco degli emigrati italiani e poi sempre più multietnici: inizialmente arrivati da Cuba, Centro America e Sudamerica e poi dal vicino Oriente – Palestina, Libano, Siria e Iraq. Proprio per l’impegno rivolto ai popoli provenienti da questo fronte più caldo e tormentato, monsignor Russo è stato nominato “corepiscopo” da sua Beatitudine Ignazio III, Yousif Youman: dopo 47 anni di sacerdozio, Russo è vescovo ausiliare, vicario generale della diocesi Our Lady of Deliverance degli Stati Uniti d’America del patriarcato siriano cattolico d’Antiochia. L’emozionante cerimonia di ordinazione, lo scorso ottobre, è stata seguita con affetto anche dai parenti siciliani, in streaming.

«Durante gli ultimi quindici anni mi sono dedicato ad assistere gli emigranti dalla Siria e dall’Iraq di rito siro-antiocheno di lingua aramaica e araba – dice il corepiscopo Russo –. Dapprima, dalla metà degli anni 70 assistevo gli emigranti dal Libano e di rito maronita e quelli dalla Palestina e la Giordania che sono di rito melchita e latino, ma tutti di lingua araba. Un’esperienza che mi ha fatto scoprire un aspetto sconosciuto della vita ecclesiale sopravvissuto al mondo islamico. Con il permesso del mio ordinario latino ho assistito, come vicario generale, sua eccellenza Barnaba Yousif Habash, vescovo dell’Eparchia di Our Lady of Deliverance, che si estende per tutti gli Stati Uniti. Ho guidato e assistito i sacerdoti provenienti dal Libano, dall’Iraq e dalla Siria in seguito delle guerre e alle stragi causate dall’Isis. Li ho accompagnati a gestire le parrocchie in nuove situazioni socioeconomiche e a imparare la lingua inglese. Profughi, non emigranti – sottolinea Russo –. Per loro lasciare il proprio Paese è stata una necessità. Una emigrazione forzata. Molti di loro sono stati separati dai loro familiari, sparsi in vari continenti. Hanno visto smantellare le loro famiglie e comunità da regimi ostili alla fede cristiana. Sia il vescovo che io abbiamo visitato queste nuove comunità che hanno trovato rifugio qui, per assicurare loro che la chiesa non li ha abbandonati. Il vescovo ha radunato tredici sacerdoti dall’Iraq e uno dalla Siria per assisterlo nelle fondazioni di nuove parrocchie. È un apostolato che mi riempie il cuore».

Monsignor Cesare Russo, emigrato fra gli emigrati, dunque. Lui nato a Floridia il 23 gennaio del 1945 da genitori originari di Sortino, Antonio Russo e Sebastiana Di Pietro. Nel 1955 il padre emigrò negli Stati Uniti e nel 1958 con la madre e il fratello lo raggiunsero a New York. La famiglia si stabilì lì, vicino a parenti e amici sortinesi che erano emigrati prima della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1959 entrò nel seminario minore dei Frati francescani dove ha imparato la lingua inglese e ha iniziato a inserirsi nella vita ecclesiale. «Ho finito i miei studi nel 1971 – ricorda i suoi primi passi monsignor Russo –. Gli anni di seminario minore e maggiore furono molto interessanti per me, il passaggio culturale dal mondo italiano e siculo di quel tempo a quello multietnico cattolico e anglo-sassone protestante. Per un quindicenne un mondo di curiosità: c’era la voglia di capire e conoscere la diversità delle correnti culturali e sociali. In quel contesto arrivarono le idee innovative del Concilio Vaticano Secondo, le nuove iniziative per la Chiesa e la formazione dei seminaristi. Fu un periodo di apertura al mondo».

E al mondo guardava Russo sin all’inizio del suo ministero sacerdotale. L’interesse verso gli emigranti che arrivavano, com’era stato per lui, negli Stati Uniti e in Canada con speranza e ansia di futuro. “Questo interesse mi spinse sin dagli ultimi anni Sessanta a studiare la sociologia dell’emigrazione. L’emigrazione era spinta da un desiderio di migliorare l’esistenza umana, ma questo miglioramento esistenziale non era sufficiente, perché l’emigrante cercava qualcosa di più e non lo trovava nel mondo del lavoro dov’era solo un ingranaggio della catena di montaggio, utile per i profitti di altri. Così l’emigrante si rivolgeva alla chiesa per assisterlo nel difendere la sua umanità. Il suo spirito”.

Oggi Russo è al fianco dei siriani, da vescovo ausiliare. In America, senza mai dimenticare le proprie radici.

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