Film della settimana: Il traditore di Marco Bellocchio, 2019.

“Dottor Falcone, noi dobbiamo decidere solo una cosa, chi deve morire prima io o lei? “.

Al 24mo lungometraggio Marco Bellocchio continua a regalare pellicole che analizzano  personaggi e storie, molte volte scomode, del Belpaese. Da quel folgorante esordio a soli 26 anni del 1965, con I pugni in tasca, ogni suo film ha scandito il nostro tempo, scatenando dibattiti a volte anche dialetticamente violenti, come con Buongiorno notte su Aldo Moro, Bella addormentata sull’eutanasia, L’ora di religione sulla perdita della fede.

Non si smentisce neanche stavolta e in un panorama desolante come quello del nostro cinema, ci regala un’altra pellicola notevole che ricostruisce attraverso vent’anni, dal 1980 al 2000, la seconda guerra di mafia e i colpì inflitti allo stato.

Il film si apre con una sequenza magnifica, una delle più belle e intense del cinema di questi ultimi anni. Ci troviamo a casa di Stefano Bontade nel giorno di Santa Rosalia del 1980, dove vediamo sfilare con i nomi in sovraimpressione i boss di cosa nostra che saranno protagonisti dei tragici eventi di quella stagione, da Riina a Contorno, da Badalamenti a Calò. Al centro di tutto c’è lui, don Masino, Tommaso Buscetta, nato nel 1928 e già dal 1945 affiliato. Ma è negli anni 80 che il suo nome entra prepotentemente nella storia, quando sta per scatenarsi una seconda cruenta guerra di mafia che vede Totò Riina in prima fila per il controllo del traffico di droga. Buscetta decide di emigrare in Brasile, mentre Palermo diventa un campo di battaglia con la media di un morto al giorno .

Tornare in Sicilia sarebbe morte certa. Intanto la lunga mano della mafia si abbatte su numerosi membri della sua famiglia. Cosi ,grazie anche al grande lavoro di Giovanni Falcone diventa collaboratore di giustizia, non pentito, come lui sostiene, ma dissociato da un’organizzazione malavitosa che non riconosce più. Grazie a don Masino scattarono 366 mandati di cattura, portando sul banco degli accusati 475 imputati al Maxiprocesso di Palermo con la cupola al completo, eccetto Riina in stato di latitanza, divenendo cosi il traditore. Un duro colpo per cosa nostra e don Masino dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio chiama in causa anche la classe politica tra cui Giulio Andreotti, ma dopo essere stato screditato e attaccato decide di far ritorno in America dove morirà nel 2000. Pur con qualche ridondanza Bellocchio confeziona uno spettacolo di lusso come miglior tradizione del nostro cinema di impegno civile, anche dal punto di vista del ritmo e sceneggiatura.

Favino in gran spolvero e ben calato nella parte risulta credibile, non da meno sono Lo Cascio e Ferracane. Una pagina nera della nostra storia che è bene non dimenticare, con una maniacale ricostruzione dei fatti, che Bellocchio dimostra di conoscere e con coraggio cinematografico da cineasta di livello superiore ci mostra anche l’attenta di Capaci.

Un film cupo ma necessario come in Italia non se ne fanno più. Chi ha voglia di bel cinema italiano dalle parti di Marco Bellocchio ne trova in abbondanza a partire da I pugni in tasca del 1965 ,capolavoro mondiale sulla disgregazione familiare. Ed è proprio di poche settimane fa’ la notizia che il Festival di Cannes premierà  il nostro Bellocchio con la Palma d’oro alla carriera. Se anche i francesi si inchinano a un italiano non ci sono dubbi sulla sua grandezza. Anche da noi Auguri Marco e buona visione

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