Chi ricorda l’affaire-atrazina? Naturalmente é una domanda alla quale non ci si può aspettare che possano rispondere all’istante i millenial (anche se qualche studente con la passione per la chimica potrebbe avanzare qualche utile congettura…) per ovvi motivi anagrafici. Già i cinquanta-sessantenni (accidenti, ho scoperto le carte sulla mia età!) potrebbero invece attingere al bagaglio della loro memoria, perché l’affaire-atrazina è stata una di quelle vicende sulle quali vennero versati fiumi di inchiostro su quotidiani e periodici e che per settimane tenne pure banco – tra una crisi di governo e l’altra, siamo ai tempi della prima Repubblica –  nei telegiornali della Rai (c’erano solo quelli…)

L’anno di grazia è il 1986. L’Italia si ritrovò alle prese   con la constatazione che nelle falde acquifere scorreva acqua contaminata dall’atrazina, un diserbante altamente tossico per la salute dell’uomo che sino a quel momento era stato impiegato con generosità in agricoltura. I valori soglia risultavano sforati in maniera significativa in diverse parti dello Stivale. Che fare in un’Italia nella quale i Verdi provavano a far puntare i riflettori dell’opinione pubblica nazionale sulle tematiche ambientali in un Paese che immaginava ancora un futuro legato al nucleare (il 1986, a beneficio dei più distratti, è lo stesso anno del disastro di Chernobyl…) e con la chimica pesante ben presente (come alle porte di casa nostra)?  La soluzione la mise a punto la massima Istituzione nazionale deputata – fra i diversi compiti – alla salvaguardia della salute pubblica: l’allora ministro della Sanità Carlo Donat Cattin decise con un’ordinanza di alzare il limite massimo tollerato di atrazina portandolo a una soglia dieci volte superiore (anche rispetto ai valori-soglia fissati da una specifica direttiva della, allora, Comunità Economica Europea-CEE). Così, l’acqua che sino a quel momento era stata considerata fortemente inquinata e ne era stato vietato l’utilizzo per scopi umani, grazie a quel provvedimento torno ad essere nuovamente potabile… “per legge”.

Se avete avuto la pazienza di arrivare a leggere sin qui vi starete chiedendo: perché questo ricordo? Diciamo che questa vicenda dell’acqua all’atrazina tornata potabile grazie a un cambio operato – con tanti di sigillo ministeriale e pubblicazione in Gazzetta Ufficiale –  sulla “scala” dei valori ritenuti tollerati mi è tornata in mente quando nei giorni scorsi il Governo ha varato i provvedimenti grazie ai quali – sostanzialmente – ancora oggi possiamo consumare un caffè al bancone del bar, mangiare una pizza all’aperto e coltivare quella socialità della quale abbiamo scoperto l’importanza quando è stata in qualche misura ridimensionata e sacrificata sull’altare della lotta alla pandemia.

In pratica se l’Italia rimane tutta in bianco lo dobbiamo al fatto che si è messo mano al tipo di parametro da utilizzare per far scattare il cambio di colore. In pratica il “vecchio” rt, l’indice di trasmissione del contagio, è andato in soffitta e al suo posto si attribuisce un “peso” maggiore ad altri valori a cominciare da quelli relativi alla pressione ospedaliera (ricoveri in terapia intensiva e nei reparti ordinari). Chiarisco subito: non ho alcuna competenza tecnico-scientifico per commentare questo provvedimento del Governo sul fronte covid  (né per confutare la scelta fatta trentacinque anni fa dal ministro Donat Cattin a proposito dei valori-soglia dell’atrazina). Ne faccio una questione di percezione da uomo della strada, di sentiment: se da un giorno all’altro si cambia una delle regole del gioco a partita iniziata (nel 1986 i valori-soglia dell’atrazina, adesso i parametri per definire i passaggi di colore che si traducono in maggiori o minori restrizioni alla nostra quotidianità) personalmente qualche domanda me la pongo.  Sono ben contento che tutti in Italia “resistiamo” in zona bianca: sono contento per gli operatori economici che sono stati messi all’angolo dalla perversa sommatoria di crisi e pandemia, sono contento per il Paese che si deve rimettere in moto. Non c’è dubbio che così si stia meglio. Nella quotidiana battaglia (ancora chissà quanto lunga) contro il covid nella quale abbiamo bisogno di tutto – vaccini in primis e strutture sanitarie che non debbano fare ricorso all’eroismo di medici e infermieri ma contare su operatori sanitari messi nelle condizioni di lavorare al meglio dentro e fuori le corsie – di una cosa non abbiamo bisogno: ad esempio aggiustamenti di comodo o escamotage che trasformino le zone gialle, e forse anche rosse, che incombevano in altrettante zone bianche. Anzi, “imbiancate”.

(*) Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…).

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