QUANDO LA MODERNITA’ E’ IL RITORNO ALL’ANTICO

E se fosse il ritorno all’antico un segno di pentimento per essersi scoperti moderni?

Questa è del resto la modernità: è una generazione che svegliatasi dal torpore estasiante dell’antica bellezza, si specchia in essa e non si riconosce più. La combatte come se fosse nemica, come se non fosse essa stessa madre di colei che, nel riscoprirsi diversa, la distrugge.  Poi lo scorrere del tempo, la presa di coscienza dell’inevitabile mutabilità del tutto. La paura di perdere qualcosa che fino a quel momento non era importante, se non per pochi, fa nascere il bisogno del “preservare” ad ogni costo. Il nemico, il vecchio, il desueto si fa patrimonio. E lo si osserva con ammirazione, lo si protegge, lo si emula.

Ormai lontani da ogni canone classico, i moderni vanno alla ricerca di quel genitore abbandonato a se stesso. Lo innalzano ad effigie di una cultura nazionale atta ad attirare consensi.

Gli ancor più moderni riscoprono questo antenato che tanto ha da dare. Si immergono nei suoi racconti, memoria di valori ancestrali ma mai desueti. E lentamente lo rinvigoriscono. È su questa via di rinascita che i giovani si fanno mito.

Giovani che hanno il coraggio di esprimere sul palco la loro devozione verso il loro antenato e rappresentare una società agli antipodi di quella degli spettatori paganti.

Ed è così che lo spettacolo diventa un’occasione di riflessione profonda. Al di là di ciò che è manifesto, una realtà celata mostra limiti, vizi e controsensi di una società lontana solo cronologicamente dall’odierna, la società dell’antica Grecia. Per diversi aspetti molto più vicina alla nostra di quanto a primo acchito non si pensi.

Gli Hermes di questo messaggio sono attori appassionati, come quelli facente parte alle compagnie teatrali che quest’anno, daranno vita alla stagione teatrale aretusea.

Molto significativa la scelta della commedia e delle due tragedie che delizieranno la città bianca: Nuvole di Aristofane, CoeforEumenidi di Eschilo e Baccanti di Euripide. Una stagione all’insegna del mutamento che sovverte l’ordine dei valori di una società, come si evince in Nuvole. Un pensiero che si insinua come un germe nella mente umana fino a surrogarne il precedente. E se al tempo in cui Aristofane scrisse la sua opera, la preoccupazione maggiore era la filosofia socratica, mezzo importante attraverso il quale il mutamento ha potuto essere tale, soppiantando usi e tradizioni radicate, oggi a turbare è la porta del cambiamento sistemico, post pandemia, che si spalanca dinnanzi a noi.

Che si tratti del “Grande Reset”, più volte annunciato, o di un cambiamento meno radicale, tutto ciò del quale non si conoscono le conseguenze intimorisce. Ed il coraggio di affrontarle a cuor leggero e senza porsi domanda alcuna, parrebbe da considerarsi non eroismo ma stoltezza.

Di un germe invasivo ci parla anche Euripide nelle sue Baccanti. Un germe che instillato volontariamente, per l’affermazione personale del dio, nella mente delle donne che celebravano i culti dionisiaci, porta alla capitolazione della città.

«Le donne che compiono i riti sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione.»

“Follia bacchica” riscontrabile nella nostra società: la psicosi che investe interi comparti della popolazione e porta a scagliarsi contro i propri simili in maniera furente, in nome di un virus, dal quale certamente bisogna proteggersi. Ma se la protezione porta alla distruzione dei principi umani fondamentali può chiamarsi davvero protezione?

E poi CoeforEumenidi, la crasi di due tragedie tratte dall’Orestea, trilogia eschilèa. Tema principale è la vendetta per compensare e rendere onore al sangue sparso. Eschilo mostra l’imminente inutilità di un simile meccanismo: ogni atto di riparazione diventa a sua volta una nuova colpa più grande. Se quindi é vero che il delitto è da considerarsi un gesto necessario e indispensabile alla costituzione di un ordine nuovo, è umanamente etico pensare che il fine giustifichi i mezzi?

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