Sergio Mattarella nella millenaria cavea del Colle Temenite
Una società civile disorientata e divisa
Davide Livermore che “rilegge” Eschilo, Sergio Mattarella, i fratelli Cassarino, i fratelli Burgio e, da ultimo (nella notte di euforia collettiva per la vittoria dell’Italia all’Europeo) un negozio di abbigliamento nel centralissimo corso Gelone. Per quanto, almeno a prima vista, possa essere difficile trovarlo, tuttavia c’è un filo unico che tiene assieme tutto e tutti. Ovviamente ci si muove sul piano della visione più strettamente personale, e come tale fortemente opinabile e confutabile. Ma critiche (motivate), rilievi, dibattito e dissenso non possono che fare bene.
Il Capo dello Stato, un uomo che nel proprio vissuto familiare ha dolorosamente sperimentato cosa voglia dire la violenza mafiosa (ma anche, in talune circostanze, l’opacità e l’incertezza dell’agire delle Istituzioni che oggi incarna al massimo livello), torna a Siracusa – è la seconda volta nel volgere di tre anni – e ciò accade in una giornata straordinariamente simbolica, il 19 luglio, ventinovesimo anniversario della strage di via D’Amelio nella quale caddero assieme al giudice Paolo Borsellino cinque agenti della scorta, Emanuela Loi, Angelo Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Mattarella al teatro Greco assisterà alla messa in scena di “Coefore/Eumenidi” nell’allestimento di Davide Livermore. Una rilettura di due delle tre parti dell’Orestea che accanto a larghi consensi (c’è chi ha parlato di vero e proprio kolossal) per le scelte del regista non ha mancato anche di raccogliere perplessità (la solennità della tragedia trasformata in musical). Ma qui, per provare a seguire quel filo di cui abbiamo detto in apertura, appare utile fissare uno dei frame – di indubbia suggestione scenografica – della parte conclusiva della tragedia. E’ il momento in cui sul grande globo (in effetti è un maxischermo) che domina la scena nella monumentale e millenaria cavea del Colle Temenite, iniziano a scorrere immagini legate alla nostra storia più recente quando non, praticamente, all’attualità (come nel caso del crollo del Ponte Morandi a Genova).
Tra le immagini anche quella della strage di Capaci che ha preceduto di cinquantasette giorni l’attentato di via D’Amelio.
E quello scorrere di immagini di tante tragedie italiane che ancora attendono e invocano Giustizia, immagini che sono nuovo sale cosparso in abbondanza sulle piaghe delle ferite vecchie e nuove inflitte al nostro stesso corpo, attraverso personalissimi percorsi mentali mi porta ad annodare – utilizzando il medesimo filo – vicende più piccole, più legate al nostro territorio, ma non per questo “minori”. Sono, ad esempio, storie di uomini di buona volontà come i fratelli Cassarino che non si piegano al ricatto di un racket che è tornato a far sentire la propria oltraggiosa e tracotante (e distruttiva) “voce” sotto forma di tritolo fatto esplodere davanti alla loro tabaccheria nel cuore della Borgata. Ma ci sono anche le devastanti lingue di fuoco divampate nel cuore dello storico mercato di Ortigia che divorano tutto quanto trovano sul loro cammino così come avvenuto anche nel caso del negozio di abbigliamento di corso Gelone.
Ecco, il presidente Mattarella – lo stesso che abbiamo visto in tv a Wembley esultare in maniera compiaciuta ma misurata al successo degli Azzurri – seduto sui gradoni del Teatro Greco davanti all’immortalità del testo di Eschilo e alla forza delle immagini più attuali non mancherà di fare i conti con un lancinante dolore personale legato all’uccisione del fratello Piersanti che il tempo può solo lenire ma certo non cancellare. La sua breve tappa avverrà in una Siracusa che a tratti sembra disorientata e che si sta trovando a dover rifare i conti con lo spettro del ritorno del racket. Tutto ciò in una condizione, purtroppo, segnata anche da incomprensibili divisioni sul fronte stesso del movimento antiracket, con una società civile che appare meno reattiva e in un clima generale cittadino più assopito che sembra distante anni luce da quello connotato da risveglio delle coscienze che segnò la metà degli anni novanta del secolo scorso (anche se, in fin dei conti, è appena una trentina di anni fa…) facendo della provincia di Siracusa quella che in Italia poteva contare sul maggior numero di associazioni antiestorsione e antiusura (16 organizzazioni, di cui un paio sovracomunali) rispetto al numero complessivo dei comuni (21). Allora il passaparola e l’iniziativa congiunta di forze sociali e società civile riuscì a portare in strada (era il 10 ottobre 1991) quasi ventimila persone che scelsero Siracusa, “capitale” dell’antiracket, per dire no ai signori del pizzo che appena pochi giorni prima avevano ferito e gambizzato due imprenditori.
Oggi, fortunatamente, quei picchi di sanguinaria violenza non sono stati toccati ma il messaggio lanciato con bombe e roghi non è meno inquietante. E davanti a questo rialzare la testa la reazione c’è stata ma è sembrata inevitabilmente tiepida, quasi roba da addetti ai lavori. E dire che abbiamo quella macchina di velocissima condivisione che è la rete in grado di far rimbalzare in pochi secondi una notizia, un invito, da un punto all’altro del pianeta… Ma così non è stato.
Il rischio è che si torni a pensare che quella della lotta al racket non sia “cosa nostra” (nel senso di impegno collettivo) ma qualcosa che riguardi le vittime più esposte e, al più, investigatori e inquirenti. Se così dovesse essere vorrebbe dire che abbiamo cancellato in un sol colpo buona parte di quanto fatto in questi ultimi trent’anni sul fronte della sensibilizzazione e dell’affermazione del primato indiscutibile della legalità. Al contrario di quelle ferite profonde, diventate cicatrici indelebili, che anche il Capo dello Stato seduto sulle gradinate del Teatro Greco porta, con un dolore mai ostentato, dentro di sé.