Siracusa capitale della cultura e … culturale, oltre l’overshoot day

Chi ha l’amabile bontà di dedicare un po’ del proprio tempo alla lettura – anche sporadica, occasionale o distratta – di queste mie riflessioni, avrà notato che provo a intrecciare, in qualche misura a connettere, macrofatti con vicende di respiro più territoriale. Sulla bontà del risultato finale non sono certo io a dovermi pronunciare, ma sicuramente si tratta di una “sfida” che mi appassiona. Per cui ci provo ancora. Dunque, lettore avvisato…

E allora andiamo con una suggestione legata a una giornata da ricordare sulla quale però – nell’incalzare del turbinio olimpico, degli affanni legati al quadro politico complessivo e alla pandemia che da un anno e mezzo monopolizza (anche) l’attenzione mediatica – non mi sembra che ci si sia fermati più di tanto a ragionare su. Anche se in effetti tutti avremmo avuto più di un (buonissimo) motivo per farlo.

La giornata in questione è quella di giovedì 29 luglio: è stato l’overshoot day, vale a dire il giorno in cui si sono esaurite le risorse del pianeta. Dunque, a cinque mesi abbondanti dalla fine dell’anno, gli esseri umani siamo già riusciti a consumare tutte le risorse che la Terra riesce a generare in un anno. Dal 30 luglio, insomma, abbiamo iniziato ad intaccare il patrimonio dell’anno che verrà. Quanto squilibrata sia questa situazione non penso che serva molto altro per metterlo in evidenza. Quali conseguenze possa avere tale corsa a consumare tutto il consumabile, e anche molto di più, mi sembra altrettanto facilmente intuibile.

In Italia, poi, siamo riusciti a fare ancora… di meglio. In un Paese di santi, poeti, navigatori (e più di recente virologi, oltre che da questa estate mattatori in campo sportivo anche in versione a cinque cerchi) la vocazione allo scialo senza freni (prendo a prestito un termine usato nella bella Calabria che mi sembra fortemente rappresentativo) ha prodotto come risultato che l’overshoot day  tricolore lo abbiamo fatto segnare addirittura il 13 maggio scorso! Insomma, in Italia con le nostre sole risorse saremmo sati in grado di campare – a questi ritmi – per nemmeno metà anno!

E dire che nel 2020, causa emergenza covid (e le restrizioni consequenziali), la nostra capacità di consumare le risorse prodotte aveva consentito di arrivare sino al 22 agosto. Un mesetto in più rispetto a questo 2021 (che ha fatto registrare un dato su scala mondiale in linea con il trend degli ultimi anni). E pensare che il primo anno nel quale questo problema si verificò – era il 1970, oltre mezzo secolo fa, era lo scorso millennio… – l’overshoot day cadde il 29 dicembre! Da allora la corsa al consumo delle risorse prodotte in un anno dalla Terra da un’andatura al trotto si è trasformata in una galoppata sfrenata che sta letteralmente stremando il nostro cavallo (leggasi il pianeta).

Venirne fuori, invertire la rotta, rallentare questo ritmo forsennato di consumi richiede uno sforzo corale, un impegno collettivo. I temi della sostenibilità, di nuovi modelli di sviluppo rispettosi dei cicli naturali, sono da tantissimo tempo in cima alla lista delle priorità (dichiarate) in tutto il pianeta. Ma sono impegni tanto solennemente assunti quanto sistematicamente disattesi.

In questo cambio di passo che si impone ad ogni livello, mi piace anche immaginare che, in una visione di crescita non più bulimica ma armoniosa ed equilibrata, ci sia largo spazio anche per un modo nuovo di intendere pure la fruizione delle risorse culturali. Non mi sembra granchè sensato alimentare, ad esempio, un mercato turistico che guardi solo alla quantità, al numero delle persone che si riescono ad attrarre in un singolo posto, incoraggiare il mordi e fuggi (giusto per restare in argomento di consumi alimentari), avere come principale parametro di riferimento il numero di posti-letto disponibili, avere come preoccupazione prioritaria quella di “riempire” notte dopo notte le strutture senza creare  una proposta ricettiva organica ed equilibrata, che valorizzi (nel caso di Siracusa) la stagionalità “lunga” senza pensare che la città sia un limone da spremere. Ecco, se c’è una parola-chiave è, probabilmente, proprio visione.  Ed è per questo che l’opportunità che si apre con la proposizione della candidatura di Siracusa a capitale della cultura del 2024 è una di quelle occasioni nelle quali occorre mettere a dimora l’albero della condivisione delle idee e della progettualità che rifugga da ogni estemporaneità. Non è la prima volta che Siracusa prova questa corsa: nel 2013 la proposta “Frontiere d’Oriente” per il titolo di Capitale della cultura 2019 non riuscì. Non si approdò nemmeno tra le sei finaliste (vinse Matera)I. Allora si partì in ritardo, a corsa già iniziata e con le turbolenze “naturali” legate a un cambio di amministrazione. Oggi le condizioni di partenza sembrano differenti anche se Palazzo Vermexio si trova sempre nella linea di tiro (e non di rado si tratta di fuoco amico…) .

L’idea di poter concorrere e competere per l’ambito titolo – con annesse le risorse economiche destinate, in caso di vittoria, alla realizzazione della progettualità che si andrà a mettere a punto – dovrebbe dare il giusto input alle diverse anime e agli spiriti critici della città per mettere da parte acrimonie e divisioni per privilegiare un modello di lavoro inclusivo per definire una proposta complessiva seria, forte, credibile, concretamente praticabile. Questo presuppone un coinvolgimento generale e complessivo della città, nelle sue diverse articolazioni. Non servono uomini soli al comando ma squadre che sappiano pedalare avendo ben chiaro che si deve faticare e che alla fine sotto lo striscione del traguardo non transiterà mai un uomo solo ma un’intera comunità. Un insieme di donne e di uomini, profondamente legati alla città, orgogliosi delle origini greche ma capaci di immaginare un percorso nuovo e, soprattutto, sostenibile che valorizzi quanto già di buono esiste (e non è proprio roba da poco).

(*) Ex Post (nel senso che volevo scrivere un post ma è venuto troppo lungo…).

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